#escapes2020 online – 26 giugno 2020
Il governo della migrazione e dell’asilo
Resistenza e azione in tempi di ambivalenza e incertezze
Stringa n. 3: Guardare alle “zone d’ombra”
Diritti fondamentali, porti non sicuri ed emergenza sanitaria. Brevi note su due recenti decreti
Letizia Mancini, Professoressa associata, Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria”, Università degli studi di Milano
Il 7 aprile 2020 i Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, degli Affari Esteri e della Salute hanno dichiarato che “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus COVID-19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana” (Decreto n° 150).
Ancora una volta assistiamo ad un tentativo di limitare i diritti dei migranti – diritti fondamentali come quello alla salute –, ostacolando l’azione di soccorso da parte delle ONG, precludendo questa volta i porti alle navi straniere, facendo leva sulla situazione eccezionale dovuta al virus COVID-19.
Si tratta di un decreto di appena due articoli, sufficiente, tuttavia, per renderci conto della distanza tra la tutela dei diritti dei cittadini – senz’altro compressi in questa situazione – e la tutela dei diritti di chi, disperatamente, fugge in cerca di una vita migliore; per renderci conto di come la lotta per i diritti non possa mai dirsi conclusa.
Questo decreto viene adottato, infatti, pochi mesi dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, preziosa e necessaria, sul caso Rackete, del 16 gennaio 2020, definita efficacemente “un faro dello stato di diritto nelle acque agitate della tutela dei diritti fondamentali dei migranti”1.
Nelle parole della Corte si legge dell’obbligo del soccorso in mare, dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, “che non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”. Si legge, inoltre, che “non può quindi essere qualificato ‘luogo sicuro’, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse”.
Il decreto adottato il 7 aprile dichiara che nessun porto italiano è sicuro, in ragione dell’emergenza nazionale. Nessun porto sarà sicuro per tutta la durata della situazione di emergenza, ad oggi fissata per il 31 luglio, in questo modo deformando il requisito della ‘sicurezza’ a fondamento della nozione di Place of Safety che, come è stato sottolineato, “va rapportato e relativizzato con riferimento alle condizioni concrete in cui è avvenuto il soccorso e al rischio di naufragio, e non alla situazione astratta del luogo di sbarco”2.
Il decreto afferma, inoltre, che i porti italiani non sono, né saranno, sicuri per le sole navi straniere, distinzione che, evidentemente, non dovrebbe rilevare se il problema fossero i porti non sicuri e operando dunque una palese discriminazione tra navi straniere e navi italiane.
Il provvedimento viene adottato proprio pochi giorni dopo che una nave straniera, l’Alan Kurdi della ONG tedesca Sea Eye, aveva recuperato 150 persone e si trovava nella necessità di un porto in cui sbarcare. E, quasi come appendice del decreto, il 12 aprile 2020 ne viene adottato un secondo, questa volta del Capo Dipartimento della Protezione Civile, il quale, “con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il Place of Safety” prevede che “il soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria”.
L’adozione di tali provvedimenti non può che suscitare perplessità e riflessioni. Mi limito ad indicarne alcune.
Se, da un lato, c’è da confidare che i principi e le norme del diritto internazionale, i principi e le norme di rango costituzionale e le pronunce che hanno ripetutamente affermato l’incomprimibilità dei diritti fondamentali dei migranti prevalgano – non solo formalmente, ma anche nei fatti – su questi ultimi provvedimenti, dall’altro non si può sottovalutare il rischio, sempre presente, di una indebita compressione, attuata mediante decreti e circolari, divenuti ormai strumenti ordinari, un infra-diritto con il quale nel nostro paese viene regolata buona parte della vita e dei diritti dei migranti3. Non diversamente possono essere interpretati questi ultimi due decreti che esplicitamente riservano ai migranti un trattamento differenziato che mette seriamente a rischio la loro vita. La condizione necessaria per la tutela dei diritti fondamentali non può che essere un porto sicuro, che non esclude affatto l’adozione di misure eccezionali legate all’epidemia.
Facendo propria una concezione della soggettività giuridica plurale e inclusiva, il diritto ha progressivamente portato ‘dal margine al centro’4 soggetti esclusi, discriminati, non paradigmatici, soggetti distanti dal soggetto di diritto astratto, dominante e solo falsamente neutrale, come le teorie critiche del diritto hanno svelato da tempo5, vale a dire l’uomo bianco, stanziale, normodotato, eterosessuale.
Questi decreti, che riservano un trattamento differente e discriminatorio, ci confermano invece quanta strada ci sia ancora da fare nel diritto dell’immigrazione, per un pieno riconoscimento della soggettività giuridica dei migranti – economici e richiedenti asilo – e, di conseguenza, per l’effettivo godimento dei diritti e per la loro concreta tutela.
Note:
1. S. Zirulia, “La Cassazione sul caso Sea Watch: le motivazioni sull’illegittimità dell’arresto di Carola Rackete”, Sistema penale (https://www.sistemapenale.it/it/scheda/cassazione-sea-watch-illegittimo-larresto-di-carola-rackete) al quale si rimanda anche per il testo della pronuncia da cui sono tratte le citazioni che seguono.
2. Così ASGI – Associazione Studi giuridici sull’immigrazione, nel comunicato del 15 aprile 2020 ASGI chiede l’immediata revoca del decreto interministeriale del 7 aprile 2020. L’Italia è sempre vincolata all’obbligo di fornire un porto sicuro alle persone salvate in mare (https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/soccorsi-nota/).
3. Come ha ben documentato I. Gjergji in Circolari amministrative e immigrazione, Franco Angeli, Milano 2013.
4. L’espressione è di bell hooks, Feminist Theory: From Margin to Center, Boston, South End Press, 1984.
5. Cfr. M.G. Bernardini, O. Giolo, Teorie critiche del diritto, Pacini Giuridica, Collana Quaderni de L’altro diritto, Firenze 2017), L. Mancini, “Teorie critiche del diritto. Riflessioni su diritto e migrazioni”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2\2019.
Per citare questo articolo:
Mancini, Letizia. “Diritti fondamentali, porti non sicuri ed emergenza sanitaria. Brevi note su due recenti decreti”, in Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate VI Conferenza nazionale – edizione on line 26 giugno 2020, http://www.escapes.unimi.it/escapes/diritti-fondamentali-porti-non-sicuri-ed-emergenza-sanitaria/, consultato il GG/MM/AAAA
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