#escapes2020
Il governo della migrazione e dell’asilo
Resistenza e azione in tempi di ambivalenza e incertezze
online, 26 giugno 2020
Protetti ma non troppo. Ostacoli e rischi nella transizione all’autonomia di Minori Non Accompagnati beneficiari di uno status di protezione
Emanuela Bonini, ricercatrice Fondazione ISMU
Giulia Mezzetti, ricercatrice Fondazione ISMU, assegnista di ricerca Università Cattolica del Sacro Cuore
Sono numerose le zone d’ombra che costellano il percorso di transizione all’autonomia e all’età adulta dei minori non accompagnati titolari di protezione in Italia, come emerge da una ricerca condotta da Fondazione ISMU, Università Roma-Tre e Università di Catania1 nel 2019 su mandato di UNICEF, UNHCR e IOM2. Benché questi ragazzi e ragazze siano titolari di una delle forme di protezione previste, lo studio mostra come questi si trovino nella paradossale condizione di non poter vedere rispettati i loro diritti. Con il raggiungimento della maggiore età, infatti, tutti i minori arrivati soli in Italia vedono improvvisamente decadere tutte le tutele che la normativa riconosce loro, come il diritto a non essere respinti ed espulsi e il diritto all’accoglienza incondizionata e alle tutele previste, ma questo accade in misura diversa per coloro che detengono un permesso collegato a una forma di protezione. Si trovano in una condizione più incerta coloro ai quali è stata riconosciuta una protezione speciale (definita nel d.l. 113/2018) di natura transitoria e senza possibilità di essere convertita in altra forma di permesso di soggiorno. Leggermente meno precaria è la situazione di coloro che prima dell’entrata in vigore del decreto sicurezza avevano ricevuto una protezione umanitaria, convertibile alla scadenza in un permesso per lavoro o studio. Godono invece di una tutela formale più ampia coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale (asilo o sussidiaria): a questi ultimi, infatti, il sistema garantisce formalmente la prosecuzione dell’accoglienza nei SIPROIMI (ex SPRAR) al compimento dei diciotto anni. Tuttavia, l’esito positivo dell’inserimento in tali strutture non è affatto scontato.
Nonostante la forma di protezione di cui godono offra a questi ragazzi e ragazze maggiori garanzie di tutela, il sistema di accoglienza spesso non è in grado di realizzarla, talvolta interrompendo bruscamente i percorsi di inserimento proprio in relazione alla netta separazione del regime giuridico e dei diritti tra la minore e la maggiore età. Tale separazione, infatti, ripropone l’artificiale distinzione tra “minore”, e quindi “meritevole” di protezione, e “adulto”, in base a un’implicita economia morale dell’accoglienza3, la quale prevale sui diritti riconosciuti ai titolari di protezione e non tiene debitamente conto della processualità insita alla transizione all’autonomia e delle difficoltà della costruzione di sé in un contesto nuovo. Le barriere che molti di questi ragazzi e ragazze devono affrontare, come il trasferimento in strutture per adulti o l’impossibilità di scegliere il luogo in cui vivere, rendono ancora più complicata la possibilità di dotarsi di tutti gli strumenti necessari per affrontare compiutamente il passaggio all’autonomia (conoscenza della lingua, inserimento in percorsi scolastici e formativi fino ai tirocini e al possibile inserimento lavorativo), alimentando spesso una spirale di demotivazione e delusione rispetto al proprio progetto migratorio e inibendo la capacità di “progettarsi” e di realizzare le proprie aspirazioni – sia quelle concrete e immediate, sia quelle più ideali, legate ad aspettative e desideri coltivati prima della partenza alla volta dell’Europa. Appare emblematico a tal riguardo un caso tra quelli analizzati, in cui un beneficiario di protezione sussidiaria di origine somala, molto soddisfatto del percorso che stava compiendo nella struttura per minori dove era stato inserito, ha poi deciso di allontanarsi dal centro per adulti dove era stato spostato al raggiungimento della maggiore età, nel quale si era trovato improvvisamente solo, non più insieme ad altri pari, non più seguito né inserito in attività simili a quelle che svolgeva nella prima struttura. Si è così mosso sul territorio italiano, finendo per trascorrere diverso tempo a Como in una parrocchia che offre riparo e accoglienza informale, in una situazione di assoluta precarietà.
Nei casi più critici, alcuni giovani finiscono in una situazione di rischio maggiore, allontanandosi dalle strutture dove sono accolti per spostarsi in Europa autonomamente, rendendosi “irreperibili” perché il sistema non offre risorse adeguate per l’inserimento nel contesto italiano, o perché non è in grado di soddisfare la loro richiesta di ricongiungimento famigliare in tempi per loro sostenibili, esponendoli a elevati rischi di sfruttamento e a processi di illegalizzazione. In due casi, gli intervistati si sono allontanati prima di ricevere l’esito della richiesta di asilo dalla commissione (pur con una alta probabilità di esito positivo, vista la loro specifica condizione) proprio perché i tempi e le condizioni dell’accoglienza non erano compatibili con le loro necessità di raggiungere i parenti in Europa, per poter lì iniziare a costruire la propria vita. Tra questi ragazzi, la consapevolezza dei rischi legati allo sfruttamento o alla possibilità di essere reclutati dalle reti criminali4 è spesso maggiore rispetto alla consapevolezza del rischio connesso alla perdita dei diritti, e questo a causa di una mancanza di informazioni chiare ed affidabili da parte del sistema e delle autorità, che non sempre sono garanzia di tutela.
Le pratiche di accoglienza, dunque, si mostrano ambivalenti e contraddittorie, fallendo sia nel riconoscere le vulnerabilità di questi giovani, sia nel rispettarne la capacità di potersi auto-determinare come soggetti portatori di desideri legittimi. Gli ostacoli che questi ragazzi e ragazze incontrano nella loro transizione alla vita adulta si impongono come forme di violenza simbolica5, lungo un percorso in cui categorie-chiave del linguaggio della protezione internazionale, come “soluzioni durevoli” o “benessere a lungo termine”, perdono di significato.
Note:
1. Fondazione ISMU (2019), A un bivio. La transizione alla vita adulta dei minori stranieri non accompagnati in Italia. UNICEF, UNHCR e OIM, Roma – scaricabile al link – https://www.ismu.org/wp-content/uploads/2019/12/191204_Report_LONG_ITA1.pdf .
2. L’analisi su cui si basa il presente contributo si concentra su interviste semi-strutturate a testimoni privilegiati e racconti di vita di minori non accompagnati e neomaggiorenni detentori di uno status di protezione internazionale e umanitaria (N=62 in Lombardia, Lazio e Sicilia), raccolti utilizzando la tecnica della peer research. Al momento della ricerca, 28 MSNA o neomaggiorenni intervistati erano in possesso del titolo di protezione umanitaria rilasciato prima dell’entrata in vigore della L.132/18 che riconosceva loro tutte le garanzie legate al titolo fino alla sua scadenza.
3. Cfr. Watters C. (2013) “Forced migrants: from the politics of displacement to a moral economy of reception”, in Routledge International Handbook of Migration Studies, 2nd edition, Routledge: London, pp. 99-116.
4. UNICEF & CNR (2017) Sperduti. Storie di minorenni arrivati soli in Italia, disponibile a https://www.unicef.it/Allegati/Bambini_Sperduti.pdf
5. Cfr. Bourdieu P. (1998) Meditazioni pascaliane, Feltrinelli: Milano [Méditations pascaliennes, Seuil, Paris, 1997].
Per citare questo articolo:
Bonini, Emanuela, Mezzetti, Giulia. “Protetti ma non troppo. Ostacoli e rischi nella transizione all’autonomia di Minori Non Accompagnati beneficiari di uno status di protezione”, in Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate VI Conferenza nazionale – edizione on line 26 giugno 2020, http://www.escapes.unimi.it/escapes/escapes/protetti-ma-non-troppo/, consultato il GG/MM/AAAA
Questo testo è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia
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