Un giorno di fine ottobre nella stazione di Milano, ci siamo imbattuti in un folto gruppi di migranti siriani. Di seguito riportiamo il loro racconto, una storia di migranti che non hanno ancora raggiunto la destinazione prescelta.
Migranti che probabilmente in futuro verranno rispediti in Italia. Una storia tra le tante, di destini spezzati dalla violenza delle leggi, come dei manganelli. Storia di migranti dublinati.
Ma facciamo un passo indietro. Il regolamento di Dublino III [Regolamento UE 604/2013] definisce che il diritto d’asilo debba essere richiesto nel primo paese d’ingresso in Unione Europea. Di prassi, la procedura è di competenza del governo dello Stato nel quale sono state rilevate le prime impronte del richiedente asilo. Molti migranti provenienti da Siria, Palestina, Somalia, Eritrea e Sudan sbarcano in Italia e continuano il loro viaggio verso nord attraverso il territorio Italiano, alle volte riuscendo a evitare le autorità, esse stesse sfavorevoli all’imparzialità del regolamento di Dublino. La geografia infatti rende piuttosto difficile l’arrivo diretto via terra o mare in Germania, Danimarca o Svezia, i paesi più gettonati, e i migranti non ottengono i visti per prendere l’aereo per nessun paese della UE.
Per soddisfare la necessità di mobilità dei migranti che vogliono raggiungere l’Europa, si è creata una rete informale di agent e scafisti, che propone viaggi per cifre ampiamente superiori al costo di un normale biglietto aereo e su imbarcazioni fatiscenti, rischiando la vita. O la morte, come nel caso delle migliaia di morti senza nome, sepolti nel cimitero noto come Mar Mediterraneo.
E’ in questo contesto che va inserita l’operazione Mare Nostrum, avviata dopo la tragedia di Lampedusa e terminata ad ottobre 2014, che prevedeva il dispiegamento delle navi della marina militare anche in acque internazionali al fine di soccorrere i migranti in mare.
In settembre la Germania e altri paesi del Nord Europa hanno ripreso l’Italia per un “comportamento sleale”: la mancata presa in carico dei flussi di rifugiati.
Di fatto, questi paesi hanno denunciato l’Italia che non avrebbe identificato e bloccato sotto le Alpi migliaia di migranti soprattutto siriani e palestinesi. Di risposta, il Ministero ha emanato una circolare il 25 Settembre 2014 con la quale ricorda alle Questure l’obbligo di identificare ogni migrante attraverso il rilascio delle impronte. Obbligo che potrà essere esercitato anche mediante l’uso della forza, ammoniscono i volantini lasciati ad ogni migrante che approda sul suolo italiano, volantino del ministero che senza loghi o riferimenti appostiti si configura come mezzo di informativa estremamente discutibile.
Sulle barche Mare Nostrum e nei centri di accoglienza sempre più spesso le impronte vengono imposte, anche con l’uso della forza. Il diritto di asilo diviene un’imposizione forzata, un diritto subito coercitivamente, una non-scelta.
I migranti che ciò nonostante decidono di continuare il loro viaggio per raggiungere il paese prescelto come destinazione, si scontrano col regolamento Dublino, vengono cioè dublinati. Saranno poi deportati nel primo paese di ingresso in Europa. È a questo paese infatti che spetta la competenza per emanare i documenti al richiedente asilo, e seguire la sua procedura.
Nella pratica, ciò si concretizza nella vita di un migrante giunto in nord Europa con un aereo che lo riporterà in Italia, all’interno dei cui confini sarà valido lo status di rifugiato, qualora lo ottenesse. Di conseguenza, gli sarà eventualmente possibile tornare a vivere in un altro stato dell’Unione Europea, ma solo come immigrato extra-UE, senza i diritti e lo status di rifugiato, e solo dopo lunghi mesi costretto in Italia in attesa dei documenti, contro la sua scelta.
Anni fa lo slogan era “nessun essere umano è illegale”. Mare Nostrum ha accolto tale assunto permettendo ai migranti una volta approdati sul suolo italiano di accedere alla richiesta di asilo. Umanitarizzando i flussi si è cercato di evitare la produzione di situazioni irregolari (almeno nella prima fase di stabilizzazione), ma si è contemporaneamente imposto il paese di destinazione. Una violenza perpetrata quotidianamente sulle vite e sulle scelte dei migranti si esercita da mesi, una violenza concreta che si maschera dietro il profumo umanitario della nobile operazione di salvataggio.
Gli uomini, le donne e i bambini in balìa delle leggi europee divengono in questo modo migranti a vita, uccelli dalle ali spezzate dalla violenza istituzionale. E il diritto all’asilo diviene un’imposizione forzata, in cui l’unica via di fuga diventa la rinuncia al diritto stesso.
[articolo firmato]
STAZIONE DI MILANO, 26 OTTOBRE 2014
TESTIMONIANZA DI UN GRUPPO DI RAGAZZI SIRIANI APPENA SBARCATI IN ITALIA
Siamo sbarcati a Brindisi, dalla barca ci hanno subito messi in due pullman e ci hanno spostati a Bari. A Bari ci han divisi in due, da una parte le famiglie e dall’altra parte i singoli da soli. Poi ci hanno portati in varie Questure. Direttamente in Questura, senza acqua né doccia né niente.
Sono Siriano, sono iscritto all’Università di Lorenne in Francia, a Lione, per studiare in un master 2 Lingua e letteratura araba. Per avere il visto sono andato prima in Libano, ma non era possibile. Poi in Turchia, ad Ankara. Mi hanno preso tutti documenti per il visto, mi hanno fatto aspettare e tornare dopo 10 giorni. Quando sono tornato poi mi han ridetto la stessa cosa, per più di un mese. Fino a quando mi hanno rifiutato il visto. Quindi sono andato in aereo in Algeria e poi attraverso il deserto fino in Libia. Poi la barca. Abbiamo pagato tra i 1300 e i 2000 dollari, anche i bambini. Eravamo in 270 sopra. Siamo stati 14 ore in nave, quando l’acqua ha iniziato ad entrare. Ci aspettavamo di morire. Poi una nave italiana è arrivata, erano passate 15 ore. E ci hanno salvato.
In Italia siamo arrivati a Brindisi, poi ci hanno portato in un centro, hanno detto che dovevamo lasciare le impronte. Quando noi ci siamo rifiutati hanno iniziato a picchiarci, mi hanno strappato i capelli, mi hanno colpito al volto. In dieci poliziotti mi hanno preso per forzarmi a lasciare le impronte. Hanno picchiato anche tutte le altre persone che erano con me, anche le famiglie.
E il fratello aggiunge:
In Questura a Bari quando volevano prendermi le impronte e io non volevo, appena mi allontanavo i poliziotti mi prendevano con forza, per la gola e mi avvicinavano di nuovo. Io dicevo “non voglio” e il poliziotto mi rispondeva in inglese “stai zitto, tu non devi parlare”. Il poliziotto diceva in inglese “Shut up!”, poi se no parlavano in italiano e c’era un interprete che faceva la traduzione.
Poi mi hanno preso per la testa, mi hanno sbattuto contro un macchinario per fare le impronte. Io gli ho spiegato di avere problemi con la gamba e con l’occhio. Problemi di salute, che ho bisogno di cure. “E stai zitto” mi rispondeva il poliziotto.
E uno mi ha dato un calcio alla gamba che mi faceva male. Hanno individuato il mio punto debole e mi hanno picchiato proprio in quel punto debole.
Poi mi hanno preso l’impronta degli occhi, fotografandoci l’iride. Poi ho detto di non voler dare le altre impronte, delle mani, e il poliziotto mi ha preso e mi ha detto “ti fa male l’occhio?” e mi ha dato uno schiaffo all’occhio che mi faceva male. Io gli ha detto “io non voglio stare qui, dov’è il mio diritto di scegliere dove andare? Voi che parlate sempre di diritti dell’uomo, dove sono questi diritti dell’uomo?” e appena ho detto queste cose in inglese mi han risposto “shut up !” stai zitto. L’ho ridetto anche in arabo e han detto di nuovo zitto zitto e basta.
Mentre mi stavano prendendo le impronte mi picchiavano alla gamba che mi faceva male. Poi ci hanno portati giù in una cella, e qui c’era un altro amico anche lui malmesso, che anche loro erano stati picchiati. Poi abbiamo detto che avevamo bisogno di acqua, che avevamo sete. I nostri diritti dove sono? “stai zitto, noi non sappiamo niente” mi hanno detto in inglese. Poi è arrivato un mio amico, che aveva male ad una gamba. È caduto ed è svenuto. Lo abbiamo portato tra di noi, lo abbiamo fatto sdraiare. I poliziotti ci guardavano e non hanno fatto niente, non ci hanno dato neanche un goccio d’acqua. Tutti nel gruppo sono stati picchiati e costretti a lasciare le impronte.
Mentre eravamo in Questura chiedevamo di parlare con qualcuno, con un comandante o cose simili. Ma ci veniva risposto che tanto siamo tutti attori e basta. C’era anche un ragazzo a cui faceva male la mano, che lo aveva detto ai poliziotti. Allora questi subito gli hanno schiacciato la mano.
Non hanno avuto rispetto di nessuno, né dei bambini, né delle donne, di nessuno. Né della gente che avevano davanti, tra di noi siamo medici, dottori, insegnanti, io ho 27 anni, sono architetto d’interni.
Se noi siamo stati trattati così, a uno che non sa nulla cosa gli fanno? Anche l’interprete che ci traduceva, non parlava bene.
Poi ci hanno portati in un centro di accoglienza. L’autista era ubriaco, e ogni tanto ci voleva picchiare. E gli altri poliziotti lo fermavano.
Per farci salire e scendere dall’autobus i poliziotti ci spingevano. Erano uno sopra e uno sotto dall’autobus e ci spingevano per farci cadere. Lì abbiamo chiesto di mangiare, erano le 4, le 5 di mattina. Ci hanno dato una pera o una mela da mangiare, e basta, e un po’ di acqua.
Poi siamo andati a dormire, e quando ci siamo svegliati abbiamo trovato tutti africani, di colore, e uno di questi ci ha detto che tutti i siriani che arrivano lì dicono di essere stati picchiati e maltrattati dalla polizia. Quando al mattino poi volevamo andare a mangiare ci hanno detto che “noi non siamo registrati e quindi non possiamo mangiare”. Poi un operatore che lavorava lì di nascosto ci ha dato qualcosa da mangiare, dei mandarini, dicendoci almeno mangiate qualcosa, perché gli altri gli han detto di no, che non potevamo mangiare. Invece gli africani che erano al centro ci hanno dato vestiti per vestirci, se no non avevamo niente e avevamo freddo.
Poi siamo usciti dal centro, perché non c’erano controlli. Siamo rimasti una notte sola. Poi abbiamo preso il treno per Milano, uno di noi aveva un po’ di soldi e ha preso il biglietto. Siamo arrivati questa notte a Milano, alle 23.30h. Abbiamo passato la notte qui in stazione.
Vogliamo andare in nord Europa, in Germania, Svezia, Olanda. Vogliamo andare, studiare, lavorare, fare venire le nostre famiglie, i nostri bambini.
Siamo arrivati in Sicilia partendo dalla Libia, da Zouara. Siamo rimasti un mese in Libia. Veniamo da Aleppo e Damasco, da dove siamo partiti 4, 5 mesi fa. Gli ultimi tempi in Siria non rimanevamo fermi, ma andavano avanti e indietro dalla Turchia. Ad Aleppo la situazione è drammatica, ci sono bombardamenti, uccisioni, massacri. Aleppo è in macerie.
Andrò comunque in Francia. Lo so, mi spediranno indietro, ma non voglio restare qui. La polizia di Bari ci ha preso tutti i nostri soldi. Mi hanno colpito alle gambe, mi hanno rotto il telefono. Non so cosa farò, ma devo andare, voglio continuare i miei studi.
Racconto la mia storia anche per avere garantito il diritto di scegliere dove andare.
“Ma noi non possiamo garantirti questo, possiamo solo cercare di fare arrivare le tue parole alla gente”.
Uno dei tanti siriani transitati