Memorie e luoghi dell’esilio
Tracce, solidarietà e violazione
VII conferenza Escapes, Milano, 11 e 12 settembre 2025
Call for Presentations
È aperta la call for presentations per intervenire in uno dei panels che si terranno in occasione della VII conferenza Escapes “Memorie e luoghi dell’esilio. Tracce, solidarietà e violazione” che si terrà a Milano l’11 e il 12 settembre 2025.
Le proposte vanno fatte pervenire alla mail dei proponenti del panel prescelto entro e non oltre il 9 maggio 2025. La proposta – in formato word o equivalente – non deve superare le 5.000 battute e va accompagnata da una breve nota biografica del/i proponente/i (max 1.000 battute per ciascuno).
La risposta di accettazione – con richiesta di eventuali correzioni/integrazioni – verrà comunicata entro fine maggio 2025.
Panel proposti
- Politiche, pratiche e retoriche nel settore dell’accoglienza: il ruolo di operatori, attivisti e ricercatori tra collaborazione e resistenza
Raúl Zecca Castel (assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e professore a contratto presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia), Davide Biffi (antropologo culturale, coordina un progetto SAI) - Volunteers in refugees’ reception and inclusion programs: between innovation and institutionalization
Paola Bonizzoni (University of Milan), Giacomo Lampredi (University of Milan), Eugenia Blasetti (University of Parma) - Community-Based Protection e coesione sociale: reti di supporto oltre l’accoglienza
Michela Semprebon (Università di Parma), Chiara Marchetti (CIAC) - Pratiche, saperi e strumenti metodologi nell’interazione tra Università, studenti migranti e organizzazioni
Emanuela Dal Zotto (Università degli Studi di Pavia), Tiziana Tarsia (Università degli Studi di Messina) - Disvelare la violenza: fare e disfare mondi nella migrazione
Silvia Antinori (ricercatrice post-doc, Università di Trento), Veronica Buffon, ricercatrice post-doc (Università di Messina), Eugenio Giorgianni (Università di Messina), discussant: Barbara Pinelli (Università Roma Tre) - Spazi, tempi e parole per dirsi. (Ri)elaborazioni della memoria e (ri)articolazioni della queerness tra logiche normative, pratiche di supporto e processi di soggettivazione
Dany Carnassale (Università degli studi di Padova), Devisri Nambiar (operatrice socio-legale e ricercatrice indipendente) - (in)Giustizia epistemica: Sovvertire e decolonizzare le narrazioni sulle migrazioni e costruire memoria dal basso
Chiara Denaro, Francesca Esposito - Mnemonic Solidarity among Diasporas. Global Scenarios, Local Practices, Methodological Innovations
Gianluca Gatta (Assegnista di ricerca, Università di Milano), Monica Massari (Professoressa associata, Università di Milano) - Entangled transformations and memories of mobility, violence and solidarity on migration routes from Africa to Europe
Rachel Ibreck (Goldsmiths, University of London, London, United Kingdom), Fatma Raach (University of Jendouba, Jendouba, Tunisia), Amira Ahmed (American University in Cairo, Cairo, Egypt), Luca Ciabarri (Università of Milan, Italy) - (IN)visibilità migratorie: proposte metodologiche per ricerca-azione in area di confine
Roberta Altin (Università degli studi di Trieste) - Decostruzione e poetiche nei contesti disumanizzanti
Elena Zizioli, Lisa Stillo e Giulia Franchi (Università Roma Tre) - Arts of solidarity
Andrés Antebi (OVQ), Enrico Fravega (UniGe), Luca Queirolo Palmas (UniGe) - Crisi dei diritti, immaginazione giuridica e attivismo alla luce del Patto sulla migrazione e l’asilo
Carlo Caprioglio, Francesco Ferri, Lucia Gennari, Giacomo Zandonini - L’illusione delle root causes: impatti delle politiche di esternalizzazione delle frontiere tra cooperazione allo sviluppo, finanziamenti e strategie di riappropriazione degli attori locali
Lorenzo Figoni (Policy Advisor, ActionAid Italia), Roberto Sensi (Policy and Advocacy Advisor, ActionAid Italia) - (Ri)passaggi in Italia. Traiettorie migranti, interazioni con i contesti locali e rivendicazioni sulla libertà di circolazione
Giulia Scalettaris (Maîtresse de conférences, Univ. Lille), Elena Fontanari (ricercatrice, Univ. Milano) - Politiche, esperienze e pratiche del ritorno
Bruno Riccio (Università di Bologna), Federica Tarabusi (Università di Bologna)
Panel 1
Politiche, pratiche e retoriche nel settore dell’accoglienza: il ruolo di operatori, attivisti e ricercatori tra collaborazione e resistenza
Proponenti
Raúl Zecca Castel (assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e professore a contratto presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia), Davide Biffi (antropologo culturale, coordina un progetto SAI)
raul.zecca@gmail.com, davide.a.biffi@gmail.com
Nel 2011, l’allora ministro dell’Interno Maroni decretò l’Emergenza Nord Africa, segnando l’inizio di un’importante fase di gestione dei flussi migratori. Ma cosa accade “dopo l’approdo” (Pinelli B., Ciabarri L., 2017), per richiedenti asilo e rifugiati?
L’Italia divenne un laboratorio per un radicale processo di ristrutturazione dei sistemi di accoglienza e di welfare destinati ai richiedenti asilo e ai rifugiati, accompagnato dall’emergere di un nuovo discorso pubblico sul diritto d’asilo, sui rifugiati (Marchetti C., 2014) e sull’“accoglienza”. Da settore lavorativo residuale nell’ambito del lavoro sociale nel terzo settore (Rimoldi L., Pozzi G. 2022), il campo dei servizi di welfare per richiedenti asilo e rifugiati si è progressivamente ampliato e (ri)strutturato. Numerose professionalità, con percorsi di studio, esperienze lavorative, appartenenze e visioni del mondo differenti, si sono ritrovate a operare nei servizi dedicati ai richiedenti asilo e rifugiati.
In un campo così intrinsecamente politico e politicizzato è emerso con forza un intenso dibattito tra lavoratrici e lavoratori del settore, militanti/solidali e ricercatori (Koensler, Rossi, Boni, 2020). Quale spazio di dibattito resta all’interno dei servizi e del mondo accademico: collaborare o rigettare? (Saitta, Cutolo, 2017; Gallotti C., Tarabusi F.,2024). È possibile osservare il modo in cui i lavoratori contrastano il “sistema” dall’interno e in che modo a volte lo sostengono, aderendo o dissociandosi dalle retoriche dominanti (Biffi, 2025)? Come si sono integrate le diverse biografie professionali nel campo dei servizi rivolti ai richiedenti asilo e rifugiati? Come ha reagito il welfare pubblico (e privatizzato) a questo fenomeno? Quali sono le criticità, le potenzialità e le buone prassi del lavoro nell’“accoglienza” consolidatesi in quasi quindici anni, dall’Emergenza Nord Africa in poi? Come hanno interagito i diversi mondi (terzo settore, accademia, militanti/solidali) nel campo dell’asilo?
Il panel si rivolge a ricercatori, lavoratori, attivisti e militanti che vivono o hanno attraversato il campo dei servizi per richiedenti asilo e rifugiati. Particolare attenzione sarà rivolta a interventi che adottino una prospettiva storica ed emica sull’evoluzione del settore, con un approccio etnografico, auto-etnografico o biografico. Le proposte di presentazione, che saranno valutate dai proponenti, possono essere realizzate in qualsiasi formato, sia scritto che audiovisivo o in altre modalità a scelta.
Panel 2
Volunteers in refugees’ reception and inclusion programs: between innovation and institutionalization
Proponenti
Paola Bonizzoni (University of Milan), Giacomo Lampredi (University of Milan), Eugenia Blasetti (University of Parma)
paola.bonizzoni@unimi.it, giacomo.lampredi@unimi.it, eugenia.blasetti@unimi.it
Volunteering has become increasingly central to the reception and integration of refugees across Europe. Volunteers have been actively engaged in initiatives such as community sponsorships, buddy programs, homestay accommodation, legal guardianship of unaccompanied minors and other volunteer-driven initiatives, taking on various roles in government-led reception efforts, often in collaboration with civil society organizations.
These experiences underscore a growing recognition by institutions of the importance of friendly, quasi-familial relationships between volunteers and migrants in fostering social inclusion. Predominantly initiated by civil society, these forms of care and support have undergone processes of institutionalization and bureaucratization over time. However, the way in which these informal relationships are legitimized, promoted and managed within the broader governance of refugee reception remain largely unexamined.
This panel focuses on empirical research from diverse national contexts, integrating literature from migration studies, social movements, welfare and social policy, volunteering, and care. It aims to explore the opportunities and challenges that arise from the interplay between voluntary action and institutional frameworks.
The panel welcomes scientific papers addressing the role of volunteering initiatives in migrants and refugees’ reception and inclusion programs from various perspectives:
- The potential of grassroots volunteer initiatives to influence the governance of refugee reception;
- If, when and how these programs can foster social innovation;
- The impact of institutionalization and bureaucratization on voluntary initiatives;
- Conflicts and tensions that can arise at the intersection of volunteering and institutional actions;
- Whether voluntary care promotes empowerment or, conversely, perpetuates power asymmetries.
Panel 3
Community-Based Protection e coesione sociale: reti di supporto oltre l’accoglienza
Proponenti
Michela Semprebon (Università di Parma), Chiara Marchetti (CIAC)
michela.semprebon@unipr.it, chiara.marchetti@ciaconlus.org
In un contesto caratterizzato da politiche di esclusione e controllo, respingimenti, dal progressivo smantellamento del sistema di accoglienza, ma anche dalla crescente criminalizzazione della solidarietà, si trovano pur sempre tracce di impegno civico, attivismo e volontariato a favore di e con persone rifugiate.
Questo panel propone di esplorare iniziative innovative di “community-based protection” finalizzate non solo alla protezione delle persone rifugiate e allo sviluppo del loro positivo inserimento nel tessuto sociale, ma anche alla promozione della coesione sociale all’interno della più ampia comunità accogliente, attraverso la creazione di reti sociali trasversali ai gruppi sociali che favoriscano il superamento di pregiudizi, paure, diffidenze.
Il panel si focalizza in particolare sui “buddy schemes”, programmi diffusi da oltre un decennio (Balaam 2015; Lai et al. 2017) sia in Italia che in altri Paesi europei, che prevedono un processo di “matching”, attivato da un’organizzazione del terzo settore, tra buddy volontario/a (generalmente nativo/a) e buddy rifugiato/a (Stock 2019), oltre al loro accompagnamento in un percorso di socializzazione. In Belgio, dove esistono dal 2011, sono stati riconosciuti dal governo fiammingo come strumento di policy strategico; in Italia il sono stati inseriti nella Carta per l’integrazione, firmata a oggi da 11 città italiane, e in alcune linee della nuova programmazione del Fondo Asilo Migrazioni e Integrazione (FAMI) del Ministero dell’Interno.
I buddy schemes possono essere interpretati come pratiche di supporto all’“altro”, disinteressate e non necessariamente basate sulla reciprocità. Possono contribuire al superamento di barriere tra persone native e rifugiate ma allo stesso tempo rinforzarle e generare relazioni gerarchiche e razzializzanti con esiti escludenti. C’è una tendenza a pensare che siano i volontari nativi a favorire l’accesso delle persone rifugiate a forme di capitale socio-culturale ed economico (Mortier et al 2024), agendo come “brokers of social networks” (Obstfeld et al 2014), ma non è sempre così e vale spesso anche il contrario.
A fronte di una limitata letteratura su queste specifiche forme di volontariato, il panel prende spunto dai recenti lavori di Mortier et al (2024) e Marchetti (2024) e dalla ricerca in corso nell’ambito del progetto PRIN VOLacross, per riflettere sul potenziale trasformativo delle relazioni nel contesto dei programmi buddy e di altri programmi simili che abbiano al centro la dimensione relazionale.
Il panel vuole essere un’occasione di confronto tra ricercatori/trici e operatori/trici. Saranno quindi benvenuti sia articoli accademici con contributi empirici, che riflessioni di operatori e operatrici attivi nei buddy schemes e in programmi di mentoring, befriending, community sponsorship, che si focalizzano su questi progetti, idealmente in chiave comparativa, tra diverse città o paesi, ed in particolare su questi temi:
- modo in cui i buddy schemes favoriscono lo sviluppo di reti oltre la relazione diadica e tipologie di reti (forti o deboli) e capitale sociale (bonding o bridging) promossi
- voci dirette di persone volontarie e rifugiate
- dinamiche di asimmetria e potere, ma anche di reciprocità all’interno e oltre la relazione diadica
- potenziale delle iniziative di community-based protection nello sfidare e superare stereotipi e diffidenze
- condizioni, in particolare di governance, per replicare i progetti
- potenziale e impatto, anche in chiave critica, di queste proposte in supporto e affiancamento ad altri programmi (SAI, corridoi universitari, lavorativi e umanitari, ecc.)
- rilevanza della dimensione urbana nel funzionamento dei progetti (costo della vita, spazi di socializzazione, pratiche di consumo, ecc.).
Panel 4
Pratiche, saperi e strumenti metodologi nell’interazione tra Università, studenti migranti e organizzazioni
Proponenti
Emanuela Dal Zotto (Università degli Studi di Pavia), Tiziana Tarsia (Università degli Studi di Messina)
emanuela.dalzotto@unipv.it, tarsia.tiziana@unime.it
Nel 2015, durante la c.d. “crisi europea dei rifugiati”, tra le iniziative di solidarietà “dal basso” che hanno preso forma ritroviamo quelle delle Università che hanno aperto le proprie porte e i propri corsi di laurea ai titolari di protezione internazionale. Queste esperienze mosse inizialmente da un intento umanitario hanno portato le comunità accademiche tutte – personale docente e tecnico amministrativo, studenti – a confrontarsi con la realtà e le esigenze di chi ha dovuto interrompere i propri studi per la migrazione forzata e si è ritrovato a riprenderli in contesti geografici e istituzionali distanti da quelli conosciuti (Dal Zotto, Fusari 2022).
Da questo confronto sono nate pratiche e saperi che hanno trasformato (Tarsia, Tuorto 2020) nell’ultimo decennio l’Università italiana e la sua attività in favore degli studenti rifugiati, portandola fuori dall’alveo degli interventi straordinari e di carattere solidaristico per farla confluire nelle politiche di inclusione, fondate sul diritto allo studio. I progetti dedicati agli studenti titolari di protezione, insieme a quelli per i ricercatori a rischio (per cui – sempre nell’ultimo decennio – anche diverse istituzioni universitarie italiane si sono unite alla rete Scholars at Risk), sono andati ad aggiungersi al lavoro che molti atenei stavano già conducendo in termini di ricerca, didattica e terza missione su questi temi.
Via via che, a partire dall’accoglienza su tutto il territorio nazionale delle persone in fuga dalle Primavere Arabe nel 2010-11, il tema delle migrazioni forzate ha acquisito centralità nel discorso pubblico e nell’agenda politica, è cresciuto infatti anche l’impegno delle diverse università nei contesti locali nell’ambito dell’accoglienza a fianco di enti pubblici e del Terzo Settore (Girasella 2024), in modo meno o più strutturato come nel caso dei progetti finanziati a livello nazionale dal Fondo Asilo Migrazioni e Integrazione o dal suo equivalente europeo AMIF. A fronte di una moltitudine di situazioni che hanno visto le università italiane impegnate come appena descritto, gli studi presenti in letteratura appaiono ancora limitati, soprattutto in relazione ai contenuti e ai temi emersi e ai territori coinvolti.
La sessione intende creare uno spazio ulteriore di riflessione su queste esperienze e sulla loro sedimentazione in un bagaglio di saperi, pratiche e apprendimenti condivisi dai diversi soggetti che siano individui, gruppi, enti istituzionali e organizzazioni del Terzo settore che sono stati interessati dal processo di cambiamento e innovazione In risposta a queste considerazioni e alla call della conferenza il panel si propone di offrire un’occasione di condivisione e discussione di contributi relativi al tema e in particolare:
- riflessioni teoriche su rapporto tra università/migrazioni forzate/accoglienza;
- descrizione di nuovi modelli e di strumenti di analisi utili a leggere dal punto di vista metodologico le esperienze di co-progettazione e realizzazione di percorsi di inclusione messi in campo tra Università, studenti con esperienza di migrazione forzata e accoglienza;
- analisi di iniziative-casi studio da parte di Atenei/organizzazioni del Terzo settore o enti pubblici e privati;
- esperienze di ricerca partecipativa e collaborativa tra Università, organizzazioni e studenti rifugiati;
- esperienze di partecipazione da parte di singoli (personale delle università, dell’accoglienza, studenti rifugiati e non) all’interno di iniziative come quelle descritte.
Panel 5
Disvelare la violenza: fare e disfare mondi nella migrazione
Proponenti
Silvia Antinori (Università di Trento), Veronica Buffon (Università di Messina) , Eugenio Giorgianni (Università di Messina)
silvia.antinori@unitn.it, veronica.buffon@unime.it, eugenio.giorgianni@unime.it
Discussant
Barbara Pinelli (Università Roma Tre)
I regimi migratori e le politiche di riarmo che caratterizzano il discorso politico nazionale e internazionale segnano ancora una volta il ritorno a un orizzonte di guerra, di disciplina e militarizzazione delle vite. In modo simile ad altre fasi storiche e al contempo con le sue specificità, questo contesto segnato dal nesso tra violenza, stato e migrazione sollecita sempre più riflessioni articolate sulla potenzialità conoscitiva dell’attitudine etnografica. La pratica dell’etnografia adottando prospettive sulla mobilità mira a comprendere il dispiegarsi di tali ordini sulla vita quotidiana di coloro che sono direttamente colpiti da conflitti e crisi del sociale.
Ponendo al centro il tema della violenza nella sua dimensione generativa e nei suoi effetti rifrangenti, questo panel guarda ai processi del “fare e disfare” mondi (Das 2007; 2008) per cogliere come la violazione e l’esposizione a crisi e conflitti si dispiegano lungo un continuum sociale e temporale. Questa prospettiva – che mira a far emergere effetti di lunga durata e ricadute ad ampio raggio sulle vite e sulle relazioni sociali di chi, più di altri, è colpito dagli eventi della storia – guarda ai soggetti della migrazione e dell’esilio in una cornice storica e sociale fatta di rotture e ricomposizioni.
A partire dagli studi antropologici impegnati nella critica agli ordini oppressivi che infrangono le vite e nel mostrare i modi con cui soggetti e collettività riconfigurano la memoria, il sé e le collettività, questo panel vuole offrire uno spazio di riflessione sulla discesa nell’ordinario delle dinamiche della violazione e sul loro riconfigurarsi nelle esistenze delle persone migranti. La prospettiva longitudinale insieme a quella comparativa che guardano ai processi e alle forme con cui le sofferenze si accumulano nel tempo, nei luoghi, nei corpi e nelle memorie individuali e collettive sono indubbiamente chiavi analitiche centrali.
Guardando alle molteplici geografie della mobilità, alla pluralità dei contesti istituzionali in cui le memorie di violazione si depositano o non incontrano riparo (per esempio: accoglienza, ambiti sanitari e ospedalieri, luoghi di privazione della libertà), agli spazi di informalità o marginalità estrema (homelessness, sfruttamento lavorativo, reti sociali autonome e di solidarietà), il panel sollecita contributi di carattere riflessivo, esperienziale, empirico, artistico/visuale che esplorino:
- Modi, forme e processi attraverso cui le sofferenze si depositano, si cronicizzano, si riconfigurano nell’ordinario e si riverberano nelle relazioni
- Prassi collettive di ricostituzione/riparazione di ferite e dei mondi frammentati
- Corporeità, rappresentazioni e pratiche rituali
- Forme, poetiche e linguaggi della testimonianza di violazione, anche in contrasto con la grammatica burocratica dei luoghi di arrivo
- Processi di sottrazione e resistenza dentro e fuori i contesti istituzionali
- Esperienze – anche legate al passato e in prospettive intergenerazionali – sui modi e sui processi con cui le stratificazioni della memoria, la “violenza lenta” (Nixon 2011), il lutto, hanno trasformato la narrazione in testimonianza e memoria pubblica
Panel 6
Spazi, tempi e parole per dirsi. (Ri)elaborazioni della memoria e (ri)articolazioni della queerness tra logiche normative, pratiche di supporto e processi di soggettivazione
Proponenti
Dany Carnassale (Università degli studi di Padova), Devisri Nambiar (operatrice socio-legale e ricercatrice indipendente)
dany.carnassale@unipd.it, devisrinambiar@gmail.com
Negli ultimi due decenni si è progressivamente consolidata anche nel contesto italiano una prospettiva di genere volta a far luce su dimensioni fondamentali dell’esperienza delle persone migranti. Questi contributi – provenienti da prospettive disciplinari e conte-sti geografici diversificati – si sono diretti in molteplici direzioni, declinandosi sia rispetto all’operato di organizzazioni e istituzioni chiamate al vaglio e alla valutazione delle richieste di protezione, sia in rapporto alle azioni riconducibili all’intervento sociale, all’attivismo e all’auto-rappresentazione delle persone migranti. In entrambi questi filoni, è emersa l’importanza di una prospettiva intersezionale per analizzare questioni spesso invisibilizzate o poco considerate nelle traiettorie delle persone migranti.
A partire da prospettive variegate (di ricerca, di intervento sociale e di attivismo) è cominciato ad emergere sempre più il ruolo e il peso che hanno normative, procedure e economie morali nell’inquadrare, gestire e caricare di significati delle questioni estrema-mente complesse come quelle dell’identità, del genere, della sessualità, della genitorialità e della appartenenza comunitaria.
In questo ambito, la questione delle “soggettività queer” o delle “sessualità non etero-normative” rappresenta un punto di osservazione utile per cogliere ulteriori esempi di come determinate rappresentazioni, confinamenti e esclusioni riflettano un impianto normativo ancora prevalentemente etero-cis-patriarcale. Ciò mostra anche come esso sia capace di reinventarsi nell’attuale fase del capitalismo neoliberale di governance dei processi migratori. E’ in quest’ottica che è possibile inquadrare la tendenza a ignorare, di-storcere, offuscare, oppure a guardare con sospetto quei racconti, quelle esperienze e quelle azioni che si discostano o non si allineano pienamente a valori, schemi e posizionamenti previsti dalle normative e dalle procedure vigenti.
Lo scopo di questo panel è duplice. Da un lato raccontare in che modalità le normative e gli strumenti operativi adottati dalle istituzioni possano tradursi in pratiche di controllo, confinamento, esclusione e screditamento di quelle persone migranti “queer” che si di-scostano da etichette e aspettative connesse all’espressione del loro genere, sessualità e traiettoria di vita. Dall’altro, ambisce a dare voce e spazio a quelle (ri)elaborazioni della memoria e quelle (ri)articolazioni del posizionamento che mostrano nuovi spazi di soggettivazione e di resistenza delle persone migranti che esprimono sessualità non etero-normative.
Su entrambi i fronti, il panel intende promuovere uno spazio di confronto tra contributi di ricerca qualitativa (possibilmente radicati in una dimensione etnografica) e esperienze di lavoro a stretto contatto con persone migranti queer che problematizzino le ambiva-lenze, le strettoie e le contraddizioni insite nei processi normativi di categorizzazione e nelle modalità operative prevalenti in determinati contesti. Lo scopo del panel è far emergere il complesso intreccio tra corpi e confini, memorie e violenze, temporalità e spazialità, intimità e confinamenti, riconoscimenti e abbandoni, agency e resistenze, in particolare rispetto ai seguenti macro-temi:
- memorie e narrazioni tra tempistiche istituzionali e tempi soggettivi
- prassi istituzionali e restrizioni all’accesso alle procedure (es. procedure accelera-te, definizioni di “Paesi sicuri”, rilevamento delle “vulnerabilità” ecc.)
- contesti abitativi formali/istituzionali e informali
- servizi territoriali e modalità di supporto
- forme di socialità e solidarietà comunitarie dal basso
- pratiche di resistenza e auto-rappresentazioni alternative
Panel 7
(in)Giustizia epistemica: Sovvertire e decolonizzare le narrazioni sulle migrazioni e costruire memoria dal basso
Proponenti
Chiara Denaro, Francesca Esposito
chiara.denaro01@unipa.it, francesca.esposito34@unibo.it
Nell’attuale contesto sociopolitico, la narrazione dominante sulle migrazioni si struttura attorno a concetti come “emergenza”, “crisi migratoria” e la necessità di difendere i confini dello stato-nazione. Questa prospettiva attraversa una molteplicità di contesti, dallo spazio Mediterraneo alla Manica, dai Balcani all’Atlantico, dal confine USA-Messico all’Australia: luoghi in cui i diritti delle persone in movimento e razzializzate come straniere vengono quotidianamente violati e subordinati a logiche di sorveglianza e controllo. Alimentata dai media mainstream, questa narrativa produce quello che De Genova (2018) definisce “lo spettacolo del confine”, un discorso che oscilla tra vittimizzazione e criminalizzazione, distogliendo l’attenzione dalle realtà vissute da chi subisce direttamente la violenza del regime di frontiera.
Mentre questo spettacolo si alimenta attraverso immagini sensazionalistiche che ritraggono corpi violati e sofferenti, le rappresentazioni della quotidianità delle persone in movimento e delle loro forme di resistenza rimangono per lo più invisibili e silenziate. Eppure, proprio queste narrazioni alternative rivelano la complessità dell’esperienza migratoria, mostrando come le persone razzializzate come straniere non siano solo oggetto di violenza, ma anche protagoniste di strategie di resistenza e autoaffermazione, persino nei luoghi di confinamento più ostili, come i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr). Queste dinamiche di marginalizzazione e silenziamento rappresentano vere e proprie forme di ingiustizia epistemica, strettamente connesse all’accesso differenziato alle pratiche comunicative, alla produzione di significato e alla costruzione della conoscenza. Esse si radicano nei processi di razzializzazione, vittimizzazione e depoliticizzazione, che ne sono al contempo causa e conseguenza (Kidd et al., 2017).
Tuttavia, le strutture di potere che sorreggono la narrazione dominante sulle migrazioni non restano incontestate. Esse sono costantemente sfidate, messe in discussione e destabilizzate attraverso processi di presa di parola e contestazione da parte delle persone in movimento. Tali voci, che devono essere ripensate come interlocuzioni tra chi parla e chi ascolta (Couldry, 2009), danno vita a contro-narrazioni che emergono dai molteplici “luoghi dell’esilio”: dagli attraversamenti dei confini (via terra o mare) fino ai luoghi di “permanenza” temporanea o permanente, scelta o, più spesso, forzata.
Questi spazi, spesso ostili, inospitali e isolati come i centri di detenzione amministrativa, possono talvolta essere anche permeati da reti di solidarietà invisibili ma resilienti. Di fronte a questi processi, il nostro panel si propone di esplorare le situazioni in cui le infrastrutture del potere vengono destabilizzate e le voci delle persone in movimento riescono a emergere, dando vita a spazi di giustizia epistemica. Vogliamo interrogare, insieme, alcune questioni fondamentali:
- Quali strutture e circostanze generano forme di ingiustizia epistemica?
- In che modo le persone in movimento o razzializzate come straniere riescono a far sentire la propria voce? In quali contesti e con quali strumenti?
- Chi sono i soggetti in ascolto e in che misura riescono a recepire e amplificare queste narrazioni alternative?
- Le pratiche di presa di parola riescono a lasciare una traccia duratura? Se sì, in che modo?
- Quale può essere il ruolo degli archivi costruiti dal basso nella creazione di una memoria collettiva alternativa sulla migrazione, capace di attivare processi di trasformazione sociale?
Dai SOS lanciati dal mare alle richieste di aiuto ai confini terrestri, dalle interlocuzioni con la società civile, nonostante le restrizioni imposte, alle denunce, alla controdocumentazione, alla commemorAzione e alle azioni legali avviate da familiari e comunità delle persone scomparse o decedute alle frontiere: tutti questi atti si configurano come opportunità di presa di parola, contro-narrazione e di rivendicazione di giustizia epistemica. Riconoscere e discutere questi processi, con le loro complessità e contraddizioni, rappresenta un passo cruciale per sovvertire e decolonizzare le narrazioni dominanti sulle migrazioni.
Più in generale, è fondamentale interrogarsi sulla dimensione politica delle diverse forme di rappresentazione, (contro)documentazione, (contro)narrazione, costruzione della memoria e commemorAzione. Per questo motivo, invitiamo contributi sotto forma di papers accademici, riflessioni su esperienze pratiche e di lotta, testimonianze critiche basate sull’esperienza vissuta, nonché presentazioni di lavori artistici e progetti audio-visivi.
Panel 8
Mnemonic Solidarity among Diasporas. Global Scenarios, Local Practices, Methodological Innovations
Proponenti
Gianluca Gatta (Assegnista di ricerca, Università di Milano), Monica Massari (Professoressa associata, Università di Milano)
gianluca.gatta@unimi.it, monica.massari@unimi.it
In an era marked by a heated political climate, systemic turbulence, and the erosion of traditional interpretative tools, the relationship between memory and solidarity is a crucial topic for understanding the dynamics at play in migrations and the construction of diasporic identities.
In the field of diaspora studies, the concept of solidarity is generally employed to analyze and understand the internal processes that facilitate the formation and maintenance of diasporic identities. Moreover, in the study of migratory processes, particularly irregular ones, the focus shifts to the support from citizens of immigration countries towards migrants who face daily hostility and institutional violence. In both cases, the relationship between solidarity and memory is predominantly framed in terms of “”memory of solidarity””, as a cultural tool to provide temporal density to political efforts that connect migration issues and social justice.
Less visible, at least at the level of common sense, are the forms of everyday interaction and solidarity among migrants from different diasporas, whose historical backgrounds, despite many differences, share similar structural situations. The panel aims to explore this aspect, emphasizing forms of “mnemonic solidarity” [Lim and Rosenhaft 2021], or “solidarity through memory”, in inter-diasporic interactions.
The concept of “mnemonic solidarity” involves exploring the conditions that enable forms of commonality, allowing past wounds to be articulated as possible futures. It also helps to understand the new meanings of this old issue in the context of the emergence of a global memory formation, where memories take shape not only locally or nationally but within a global landscape of interconnected actors and events. This global memory formation is characterized by deterritorialization, reterritorialization, translation, dialogue, and competition among various vernacular memories.
Mnemonic solidarity focuses on critical engagement with specific forms of exchange between memory communities. It acknowledges that memories from the Global South have decentered the European model of memorialization based on the Shoah, and that digital technologies and transnational media have initiated new mnemonic practices. However, solidarity through memory can be double-edged, fostering both transnational and nationalistic processes. This approach necessitates attention to specific actors, as well as to embodied and silent forms of memory.
The panel aims to gather reflections and contributions that explore one or more of the following themes:
- The role of memory and oblivion in favoring or hindering the establishment of inter-diasporic forms of solidarity.
- Mnemonic inter-diasporic solidarity and the deconstruction of the categories of “”migrant”” and “”diaspora””.
- Inter-diasporic solidarity and internal fragmentation within individual diasporas.
- The effects of ongoing conflicts on inter-diasporic memory and solidarity practices.
- Urban contexts, places of sociability, possibilities of interaction.
- Family memories, trans-generational relationships, education.
- Creativity, materiality, and “”silent”” forms of transmission of inter-diasporic memories.
- Methodological innovations in the study of the relationship between solidarity and memory in the migratory context.
- The active role of research in stimulating unprecedented forms of solidarity.
The panel is sponsored by the Horizon-MCSA-2021 project MEMODIAS. Memory Practices of the Afghan and Somali Diasporas in the USA and Italy.
Panel 9
Entangled transformations and memories of mobility, violence and solidarity on migration routes from Africa to Europe
Proponenti
Rachel Ibreck (Goldsmiths, University of London, London, United Kingdom), Fatma Raach (University of Jendouba, Jendouba, Tunisia), Amira Ahmed (American University in Cairo, Cairo, Egypt), Luca Ciabarri (Università of Milan, Italy)
r.ibreck@gold.ac.uk, raach.fatma@gmail.com, amiraa@aucegypt.edu, luca.ciabarri@unimi.it
This panel focuses on the memories and traces of migration on routes from Africa to Europe; and on the power relations, social identities and cultural practices they reveal and produce. It reflects upon an ‘interweaving of worlds’ (Mbembe 2007) through mobility – an Afropolitanism arising in struggles for movement at the margins. As such, it considers how memories of mobility, violence and solidarity are expressed and shared in diverse forms among migrants, and between them and people they encounter, including commemorations, collective action, activist practice, legal processes, art and music.
In contexts where political discourse and migration governance policies impact on conceptions of ‘migrants’ racializing, excluding and rendering them invisible and subject to violence, this panel turns to memory and public heritage to discover social ties and interactions that cross borders within Africa and across the Mediterranean. At the same time, the panel intends to highlight the disturbing “intertwining of powers” emerging nowadays in the region by exploring how border externalization from Europe southward is producing a proliferation of securitization practices and discourses (as well as securitized political regimes and states) deeply impacting migrants’ lives as well as the very idea of citizenship.
It questions how the political economy of capitalism, and transnational regimes of border violence, inequality and racism, are reflected in the memories and traces of migration; and in turn how these contribute to either a sense of shared identity and belonging, or to fraught contestations over memory and heritage, in heterogenous public and private spaces, including cities, rural spaces, borderlands, maritime zones.
It welcomes ethnographic and comparative approaches – including case studies in either African or European countries, especially Mediterranean countries – as well as more conceptual reflections on entangled memories of migration.
Panel 10
(IN)visibilità migratorie: proposte metodologiche per ricerca-azione in area di confine
Proponenti
Roberta Altin (Università degli studi di Trieste)
raltin@units.it
Questo panel si propone di indagare sulle tracce, rimozioni e memorie delle migrazioni nelle zone liminali di confine, operando un’analisi critica sulla visibilità/invisibilità dei migranti in transito, sulla sedimentazione temporale dei loro passaggi e sul recupero e/o abbandono delle memorie dell’esilio. Si propone nello specifico di confrontare approcci metodologici implicati che partendo dalla materialità di questi passaggi (Yi-Neumann et al. 2022), possano elaborare forme di produzione del significato avvertite analiticamente e politicamente, ma al contempo capaci di avere impatto e rilevanza pubblica (Horsti 2019).
Se sa un lato è innegabile che i passaggi migratori contemporanei (Sorgoni 2022) richiedano di ripensare criticamente il concetto stesso di “heritage” europeo (Harrison, 2012), d’altro canto vi è una forte negazione della rilevanza “storica” di questi processi nel discorso pubblico, inquadrati nel migliore dei casi all’interno di una ragione umanitaria (Fassin, 2018) se non addirittura in forme di crescente populismo e xenofobia (Cammelli, Riccio, 2024). Tali questioni si pongono in maniera ancora più potente nelle aree di confine – etno-regionali, nazionali, europee – dove i passaggi migratori si iscrivono all’interno dei luoghi che attraversano e diventano parte di un paesaggio migratorio stratificato (Altin, 2024; Della Puppa, Sanò, Storato, 2024).
A partire da queste direttrici il panel si snoda lungo due assi principali. Se le tracce dei passaggi migratori diventano “storiche” solo attraverso una ricollocazione ed un riconoscimento del valore soggettivo o collettivo dei migranti, quali possono essere le azioni di ‘visibilizzazione’ e di denuncia di eventuali abusi e violenze che si verificano in un’area di confine (Pinelli, Ciabarri 2016) e quali metodologie possono essere messe in campo quando i migranti parlano ‘in assenza’ o stanno volutamente in silenzio? Inoltre qual è il ruolo della ricerca (universitaria e non) all’interno di questa dinamica e quali azioni mettere in campo nella produzione di un sapere pubblico? Nello specifico come usare arte e cultura materiale per suscitare riflessioni critiche sulle violazioni e violenze ai confini per favorire una solidarietà che non persegua la ragione umanitaria? E quale relazione costruire/de costruire, con pubblici schierati (tanto apertamente ostili quanto acriticamente favorevoli) alla questione migratoria?
Il panel intende stimolare una riflessione aperta a partire da forme di ricerca-azione con forte rilevanza applicativa, con un impianto rivolto a pubblici compositi, e attraverso pratiche co-costruite in collaborazione con soggetti della società civile in aree di confine. In questo senso vuole costituire una occasione di confronto e di dialogo aperto sulle pratiche messe in campo, sulle difficoltà maggiori riscontrate e sui risultati ottenuti nel “praticare” questi passaggi.
La modalità di conduzione prevede: presentazioni di paper e/o installazioni artistiche o workshop attinenti al tema proposto.
Panel 11
Decostruzione e poetiche nei contesti disumanizzanti
Proponenti
Elena Zizioli, Lisa Stillo e Giulia Franchi (Università Roma Tre)
elena.zizioli@uniroma3.it, lisa.stillo@uniroma3.it, giulia.franchi2@uniroma3.it
Intersecando la ricerca sociale ed etnografica con gli studi pedagogici e la prospettiva di genere intersezionale, il panel vuole esplorare la possibilità di parola e di autodeterminazione delle donne e delle soggettività trans*/LGBTQIA+ migranti che vivono private della libertà in istituzioni totali (carcere e CPR), in luoghi che impongono disciplina e controllo (Centri di accoglienza straordinaria [CAS]), e in contesti marginalizzanti e di esclusione sociale.
La ricerca scientifica ha ben illustrato i processi di infantilizzazione propri di queste istituzioni e di questi luoghi: parole come “rieducazione” o “riabilitazione”, che guidano i protocolli assistenziali, danno indizi sulla percezione di soggettività che, per i loro vissuti, sono viste come prive di agency, da normalizzare, controllare o risocializzare, svilendo così sia le loro storie che il lavoro educativo/sociale che dovrebbe supportarle. A questo si aggiunge, in alcuni casi, un mancato riconoscimento del ruolo genitoriale e/o di cura, spesso oggetto di posture coloniali e giudicanti che determinano ulteriori forme di oppressione e controllo e l’invisibilizzazione di bambini e bambine.
Il panel sollecita, in riferimento ai contesti di reclusione/marginalizzazione, proposte scientifiche, di campo/operative e artistiche di carattere riflessivo, esperienziale e/o empirico che presentino:
- Percorsi di decostruzione e decolonizzazione di alcune categorie (vulnerabilità, violenza, margine etc.)
- Riflessioni, studi ed esperienze sulle professionalità educative e sul lavoro di mediazione in chiave decoloniale e di genere
- Progetti e risorse per sostenere i processi di autodeterminazione, capacitazione e presa di parola e/o l’esercizio sostanziale dei diritti delle donne e delle soggettività migranti
- Forme di narrazioni, pratiche autobiografiche, linguaggi del corpo e visivi come spazi di espressione e risignificazione
- Nuovi immaginari e contronarrazioni nel discorso pubblico per il contrasto a stereotipi e pregiudizi
- Spazi di riemersione e di riconoscimento delle infanzie negate.
Panel 12
Arts of solidarity
Proponenti
Andrés Antebi (OVQ), Enrico Fravega (UniGe), Luca Queirolo Palmas (UniGe)
enrico.fravega@unige.it, andres@ovq.cat, luca.palmas@unige.it
In the last decade, a growing body of literature has focused on the concept of solidarity to describe multifarious practices, inner intentions and political orientations related to supporting the illegalized movements of migrants toward and through Europe (Agustin et al., 2018; Ambrosini, 2022; Della Porta, Steinhilper, 2021; Rygiel, 2011; Tazzioli, Walters, 2019). According to the more interesting literature, breaking traditional/mainstream conceptual frameworks regarding humanitarianism, charity and political action, solidarity is not conceived as a relation between a “provider” and a “beneficiary” but rather as a space of encounters, mutual help, and collective action (Amigoni et al., 2025; Giliberti, Potot, 2021; Queirolo Palmas, Anderlini, 2024).
In other words, solidarity could be properly understood if we were able to unhinge it from its moralistic framework, making visible the fabric of material and capacitative practices enabling migrants to exercise their rights and to give meaning and continuity to their actions in harsh contexts (Bonnin et. al., 2024). Furthermore, within a framework of progressive tightening of the EU border regime (Schwiertz, Schwenken, 2021; Ataç et al., 2016), the idea of solidarity has often been rearticulated as an act of disobedience, which means it has been over-exposed and criminalized, with activists being charged with aiding and abetting illegal migration and smuggling (Fekete, 2018; Schack, Witcher, 2021).
Drawing on the sound research experience accumulated within the SolRoutes project, we look for contributions that have blended participatory ethnography and art-based approaches. Acknowledging the role of art as a crucial element to elaborate and consolidate public memories, we welcome contributions telling stories of solidarity encounters in the field of migration studies, through:
a) graphic novels;
b) short documentary films;
c) music, soundscapes and songs;
d) theatre;
e) public-art interventions.
Panel 13
Crisi dei diritti, immaginazione giuridica e attivismo alla luce del Patto sulla migrazione e l’asilo
Proponenti
Carlo Caprioglio, Francesco Ferri, Lucia Gennari, Giacomo Zandonini
carlocaprioglio@gmail.com, francescoferri86@gmail.com, lucia.gennari@gmail.com, giacomozandonini@gmail.com
Il Patto sulla migrazione e l’asilo determina un salto di qualità nel processo di erosione dei diritti delle persone in movimento. L’approvazione del pacchetto di riforme, nell’aprile 2024, giunge al termine di un decennio segnato da crisi molteplici che hanno profondamente influenzato in senso restrittivo l’approccio europeo alle migrazioni. Dalla c.d. crisi dei rifugiati del 2015, con l’adozione dell’Agenda Europea sulla Migrazione, alla pandemia da covid-19, fino alla guerra in Ucraina, l’emergenza si è tradotta in politiche di chiusura selettiva dei confini, restrizione dell’asilo e criminalizzazione delle migrazioni.
L’attuale contesto internazionale caratterizzato dall’affermarsi della destra autoritaria in diversi paesi e dalla corsa al riarmo, accompagnata da un discorso politico esplicitamente bellicista e dalla delegittimazione degli organismi internazionali, sembra indicare una grave crisi politica ma anche giuridica. Le novità introdotte dal Patto si inscrivono in questa crisi, mettendo in discussione alcuni diritti fondamentali architrave degli ordinamenti nazionali e internazionali del dopo guerra: il diritto d’asilo e il diritto alla libertà personale su basi razziali.
Nel nuovo paradigma, le procedure di frontiera acquisiscono un’assoluta centralità all’interno di un meccanismo di trattenimento generalizzato e di valutazione rapida e selettiva delle domande di asilo ai fini dell’ingresso nello spazio europeo. Lo scenario delineato dal Patto si fonda, infatti, sulla finzione giuridica che separa la presenza fisica sul territorio dall’accesso ai diritti previsti dall’ordinamento giuridico, istituzionalizzando una strategia di gestione della mobilità che ridefinisce categorie giuridiche tradizionali come quelle di sovranità, giurisdizione e territorio.
Una strategia che si completa con il rafforzamento delle politiche di esternalizzazione, che delegano ulteriormente il controllo migratorio ai Paesi terzi e sollevano gli Stati membri dalle proprie responsabilità in materia di asilo. Il risultato è una trasfigurazione dell’asilo, che assume sempre più i tratti di una concessione, e il confinamento sistematico – sia fisico che sociale – delle persone straniere. Situata nel più ampio quadro politico sovrazionale, l’entrata in vigore del Patto, prevista per il 2026, segna quindi uno spartiacque giuridico e politico la cui portata è ancora tutta da sondare.
In questo contesto, il panel intende esplorare gli effetti del Patto sul piano materiale dei diritti delle persone migranti ma anche sul lavoro e le attività di chi, come attivista, operator* del diritto, ricercator*, giornalista, si relaziona con loro alla frontiera e sui territori, e, a partire da questo, indagarne la portata politica. L’obiettivo è sviluppare una discussione che rifletta sui margini di azione e le strategie legali, discorsive, di solidarietà e attivismo possibili per contrastare l’implementazione del Patto in Europa e le conseguenze sui diritti dei migranti, con l’idea che la portata in un certo senso “sovversiva” di queste riforme possa avere anche un impatto più ampio e generalizzato sui diritti e le libertà in Europa.
Il panel si propone, quindi, di:
- Analizzare le specifiche misure del Patto e le loro implicazioni sulla libertà di movimento e sul diritto di asilo.
- Analizzare il regime discorsivo che ha legittimato il Patto e discutere le contro-narrazioni alternative capaci di contrastare l’immaginario autoritario.
- Indagare la crisi delle categorie giuridiche tradizionali (territorio, sovranità, giurisdizione) e il loro utilizzo strategico nei dispositivi di confinamento delle e dei migranti.
- Riflettere sulle pratiche di resistenza, solidarietà e attivismo per mettere in discussione il funzionamento dei punti nodali del Patto.
- Esplorare le strategie legali per contestare la legittimità delle misure introdotte con il Patto davanti alle corti nazionali e sovranazionali. Alcune domande chiave per la discussione:
- In che modo il Patto ridefinisce le categorie giuridiche tradizionali come quelle di sovranità, territorio e giurisdizione? Con che funzione e quale impatto anche al di fuori del campo del diritto dell’immigrazione e dell’asilo?
- Quali strategie giuridiche possono essere messe in campo per contrastare il Patto e quali spazi si aprono nelle giurisdizioni nazionali e sovranazionali?
- Come elaborare un discorso critico che non si attesti su posizioni difensive dell’esistente né rivendichi il mero rispetto del diritto positivo così come riscritto con l’entrata in vigore del Patto?
- Quali sono i punti di vulnerabilità del Patto e come possono essere oggetto di pratiche di resistenza e di solidarietà dei migranti? Quali strategie e strumenti, giuridici e non, esistono per sostenere tali pratiche?
- Quale impatto avrà il Patto sulla possibilità di sviluppare attività di ricerca e produzione di sapere critico sulle politiche migratorie, i dispositivi di controllo della mobilità umana e le strategie di resistenza ai confini?
- Quale impatto avrà il Patto sull’assistenza legale e sul diritto all’accesso alla giustizia delle e dei migranti?
- Quale impatto avrà il Patto sull’attivismo in frontiera e sulla costruzione di reti di solidarietà con le e i migranti?
- In che modo, con quale ratio e quali potenziali effetti, il Patto amplificherà il ricorso a strumenti tecnologici e tecnocratici di controllo della mobilità, delle frontiere e delle persone (come banche dati, registrazione di dati biometrici, sistemi di risk analysis e social media monitoring e strumenti di intelligenza artificiale)? Come monitorare e documentare questi sviluppi, come stimolare pratiche di resistenza a livello collettivo, giuridico e politico?
Panel 14
L’illusione delle root causes: impatti delle politiche di esternalizzazione delle frontiere tra cooperazione allo sviluppo, finanziamenti e strategie di riappropriazione degli attori locali
Proponenti
Lorenzo Figoni (Policy Advisor, ActionAid Italia), Roberto Sensi (Policy and Advocacy Advisor, ActionAid Italia)
lorenzo.figoni@actionaid.org, roberto.sensi@actionaid.org
Il paradigma della deterrenza definisce il ruolo dei finanziamenti non più come semplici strumenti di supporto alle politiche, ma come veri e propri strumenti di policy autonomi. Di conseguenza i fondi non si limitano a riflettere le scelte politiche esistenti, ma possono anche rafforzarle, oppure contrastarle attraverso processi di programmazione e progettazione.
Nel corso degli ultimi anni l’integrazione degli obiettivi migratori nei fondi di sviluppo dell’Unione Europea ha portato questi ultimi a un progressivo allineamento degli interventi al paradigma della deterrenza. A partire dal 2014-2015, l’uso dei fondi di cooperazione allo sviluppo per finanziare politiche migratorie esterne è infatti aumentato notevolmente, attraverso strumenti europei come l’EUTF e il NDICI-Global Europe, e italiani come il Fondo Africa e il Fondo Premialità. Tuttavia, questa pratica ha suscitato preoccupazioni riguardanti il dirottamento di risorse destinate allo sviluppo verso programmi di deterrenza e al crescente vincolo (condizionalità) tra gli aiuti e la cooperazione dei paesi beneficiari nell’impedire le partenze e accettare i rimpatri.
La deterrenza si concretizza, quindi, anche sfruttando e al contempo rafforzando gli squilibri nei rapporti di potere tra gli Stati. Secondo l’approccio legato alle “root causes” della mobilità – la cui validità è stata smentita ormai da tempo e nonostante ciò recentemente menzionato in sede di proposta per un nuovo Regolamento UE sui rimpatri – la promozione della crescita e del benessere porterebbe a una riduzione della pressione migratoria. L’attenzione sugli impatti effettivi di tali politiche sui paesi coinvolti e sul ruolo della cooperazione allo sviluppo in tale contesto rimane però molto marginale.
Ciò è dovuto, in parte, alla difficoltà nel tracciare questi progetti, che adottano linguaggi umanitari e pratiche non direttamente riconducibili al controllo migratorio. Sempre più si rende necessaria un’analisi critica delle politiche di esternalizzazione in relazione allo sviluppo e alla cooperazione che metta in luce le implicazioni di una retorica degli aiuti dominata da una visione eurocentrica della mobilità. Il punto di caduta di una cooperazione improntata alla deterrenza può però portare anche, in alcuni casi, a forme di riappropriazione da parte di attori locali che reinterpretano i programmi di aiuto con pratiche autonome, superando in parte il ruolo di soggetto passivo delle politiche migratorie.
Di fronte a questa realtà, sorgono quindi interrogativi cruciali: come le risorse influenzano i processi sociali e politici nelle comunità locali? Quali strumenti di resistenza o di riappropriazione delle risorse vengono messi in campo dagli attori locali? L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal finanziamento diretto del controllo dei confini: l’acquisto di motovedette, la formazione delle autorità locali e la fornitura di equipaggiamenti nei paesi di origine e transito mirano a rendere la mobilità sempre più pericolosa e difficile.
Tutto ciò porta non solo alle documentate violazioni dei diritti fondamentali, ma incide negativamente e in modo più ampio sulla mobilità umana e sociale. L’esempio del dibattito sulla forma di protezione da riconoscere nel contesto di migrazioni climatico-ambientali rivela la necessità di aprire lo sguardo alla protezione internazionale come filtro del confine: un filtro che viene regolato anche attraverso l’intervento diretto nei paesi di origine. Risulta quindi necessario interrogarsi sulla necessità di garantire la mobilità umana anche al di fuori dei sistemi di protezione internazionale.
L’obiettivo è di approfondire l’analisi dell’impatto delle politiche di esternalizzazione e di controllo della mobilità, soprattutto quando sostenute dalla cooperazione allo sviluppo, sullo sviluppo socio-economico dei Paesi di origine dei migranti. L’analisi partirà dall’esame dei programmi di cooperazione allo sviluppo e da casi studio che evidenziano il nesso tra dinamiche di sviluppo, mobilità e esternalizzazione delle frontiere.
Panel 15
(Ri)passaggi in Italia. Traiettorie migranti, interazioni con i contesti locali e rivendicazioni sulla libertà di circolazione
Proponenti
Giulia Scalettaris (Maîtresse de conférences, Univ. Lille), Elena Fontanari (ricercatrice, Univ. Milano)
giulia.scalettaris@univ-lille.fr, elena.fontanari@unimi.it
Per molti richiedenti asilo e rifugiati, già prima del 2015 l’Italia rappresentava non tanto la destinazione in Europa, quanto un paese di passaggio, permanenza più o meno voluta, ritorno, e nuova partenza, nell’ambito di complessi itinerari su scala europea (Schuster, 2005; Schmoll, Semi 2013; Brekke, Brochmann 2014; Fontanari 2019; Picozza 2021). Il ruolo dell’Italia come luogo di transito, passaggio, attesa, ritorno e ripartenza si è rafforzato nel periodo di “crisi” tra il 2011 e l’estate del 2015, quando i movimenti migranti provenienti dal Mediterraneo e dalla rotta balcanica hanno messo fortemente in crisi il sistema di confini europeo.
L’aumento della mobilità infra-europea è stato uno dei motivi attorno a cui l’Unione Europea si è riorganizzata in senso restrittivo con l’Agenda Europea sulla Migrazione nel maggio 2015, proponendo fra le altre cose la parziale chiusura dei confini interni. Se le riforme adottate a livello nazionale e europeo avevano l’obiettivo di controllare e ridurre tale mobilità, di fatto i movimenti internazionali sono diventati più esplicitamente oggetto di politiche volte a fare defluire la popolazione straniera verso altri paesi europei, cosa che ha incoraggiato, piuttosto che ridurre, la mobilità (Tazzioli 2020). La “summer of migration” ha peraltro dato più visibilità agli attraversamenti dei confini interni di Schengen, suscitando anche movimenti di solidarietà con richiedenti asilo di passaggio, in particolare lungo le frontiere alpine, da Ventimiglia al Brennero.
Questo panel intende fare un bilancio dei cambiamenti innescati dalla svolta restrittiva implementata dall’Agenda Europea sulla Migrazione sulla mobilità infra-europea nel corso degli ultimi 10 anni, e analizzarne gli effetti sulle traiettorie migranti (attra)verso l’Italia, da un lato, e sui contesti locali italiani (non necessariamente di frontiera), dall’altro. Si incoraggiano propose di paper che rientrano in almeno uno dei quattro temi seguenti.
- Evoluzione delle traiettorie: Quali trasformazioni si possono osservare nelle strategie di mobilità e negli itinerari di richiedenti asilo nel post-2015? Come si colloca l’Italia nell’ambito di queste traiettorie?
- Aumento dei “casi Dublino”: con quali chiavi di lettura interpretare l’aumento di richiedenti asilo e rifugiati che ritornano in Italia (anche autonomamente e non solo trasferiti in quanto casi Dublino) dopo un lungo soggiorno in altri paesi europei? In che modo l’esperienza all’estero influenza le loro aspettative, i loro progetti, le interazioni con gli attori italiani e con gli altri richiedenti asilo e rifugiati?
- Ripercussioni sui contesti locali: quali sono le rappresentazioni locali, più o meno positive, degli arrivi e delle partenze? In che modi le strategie di mobilità di richiedenti asilo e rifugiati influenzano i rapporti fra gli attori sul territorio? Che sfide e dilemmi pone la complessità di flussi agli attori dell’accoglienza?
- Mobilitazioni in difesa della libera circolazione: chi, quando, dove e in che circostanze fa della mobilità di richiedenti asilo e rifugiati un oggetto di rivendicazione politica? Quali sono le modalità d’azione, gli ostacoli, gli interlocutori di queste iniziative? In che modi questa causa stimola la transnazionalizzazione della società civile?
Panel 16
Politiche, esperienze e pratiche del ritorno
Proponenti
Bruno Riccio (Università di Bologna), Federica Tarabusi (Università di Bologna)
bruno.riccio@unibo.it, federica.tarabusi2@unibo.it
Se in passato il ritorno in patria dei migranti era considerato come un “mito” a cui essi aspiravano ma che si rivelava di difficile realizzazione (Anwar 1991) o perfino avversato come segno di scarsa identificazione con il contesto di immigrazione (Riccio 2000), oggigiorno, attraverso drastici cambiamenti dei “regimi di mobilità” (Glick Schiller Salazar 2013), si è entrati nella “Departheid” (Kalir 2024) e assistiamo sempre più al convergere delle politiche migratorie verso le espulsioni, i respingimenti e le politiche di ritorno “volontario” assistito.
Coinvolgendo ricercatori, operatori e professionisti del settore, il panel intende discutere le dinamiche e le implicazioni delle politiche di aiuto che orientano interventi di ritorno, rimpatri e programmi di “Ritorno Volontario Assistito e Reintegrazione” (RVA&R), attivi in Italia e in altri paesi europei. Gli interventi vengono qui intesi come un’arena politica in cui attori istituzionali e sociali, pratiche organizzative, repertori culturali e significati sono concettualizzati e mobilitati all’interno di precisi quadri di analisi, narrazioni politiche e azioni di cambiamento che sono pianificate, a diversi livelli, per gestire la mobilità umana.
In dialogo con il dibattito critico che evidenzia la costruzione performativa della “volontarietà” del ritorno (Cleton & Chauvin 2020) e intende questi programmi come pilastri della gestione europea degli “indesiderabili” (Broeders 2010; Andersson et al. 2011), accogliamo con interesse esperienze applicate, testimonianze professionali, ricerche etnografiche che, a vario titolo, si siano confrontate con azioni politiche, istituzioni, pratiche narrative e rappresentazioni coinvolte nelle politiche di ritorno e di rimpatrio.
Sono benvenuti i contributi che si propongono di condividere:
- conoscenze, percezioni e vissuti del RVA da parte di mediatori culturali, operatori e altri soggetti coinvolti nell’assistenza e accoglienza di migranti, richiedenti protezione internazionale e rifugiati.
- pratiche e ricerche centrate sui processi o effetti delle costruzioni etnocentriche e ambigue del fallimento/successo del ritorno
- esperienze applicate o etnografiche interessate alle sfide e contraddizioni delle azioni pianificate rivolte al ritorno
- riflessioni orientate a esplorare la categoria di volontarietà e le sue molteplici implicazioni nei regimi di (im)mobilità.