L’accoglienza di donne migranti che hanno subito violenza
l’aspettativa del racconto di violenza e il corpo vulnerabile come corpo resistente
Il Festival La Violenza Illustrata racconta, da quasi vent’anni, la violenza di genere in termini e linguaggi adeguati, sensibilizza sul tema, costruisce e rinsalda legami per contrastare il fenomeno. Attraverso spettacoli, proiezioni cinematografiche, presentazioni di libri, seminari, laboratori, convegni e mostre sul tema animerà, anche quest’anno, il
territorio della Città Metropolitana di Bologna per 16 giorni di attivismo, dal 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, al 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani.
La XIX edizione 2024 del Festival La Violenza Illustrata intende dedicare un seminario di discussione sul nesso tra migrazioni delle donne, violenza di genere e processi di accoglienza.
In senso ampio, il seminario mette al centro il nesso migrazioni e violenza di genere per interrogare i meccanismi di produzione e riproduzione della violenza (intesa nei suoi molteplici significati e differenti forme: violenza intima e sessuale, violenza istituzionale, politica e burocratica, violenza strutturale e simbolica) dei contesti riceventi sia in termini di politiche della frontiera in senso stretto che di politiche e prassi organizzate lungo i diversi spazi di accoglienza.
Il seminario vuole raccogliere e mettere a confronto esperienze di lavoro, di ricerca etnografica e/o di carattere teorico che si sono interrogate sulla memoria della violazione, sui processi di riparazione delle ferite e sulla costruzione di pratiche di solidarietà e sostegno di donne che lungo le traiettorie migratorie hanno subito violazioni. Il seminario vuole essere uno spazio di comparazione fra esperienze di ricerca e di lavoro nell’accoglienza condotte nelle zone di primo arrivo/zone di frontiera e lungo il territorio nazionale. Il seminario organizzato da Casa delle donne insieme a CIAC Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione Internazionale, Escapes. Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate e Làbas intende aprire – con il supporto del progetto Traces of Mobility, Violence and solidarity: Reconceptualizing cultural heritage through the lens of migration – uno spazio strutturato di comparazione fra studi ed esperienze sul nesso violenza di genere e migrazioni e fra prassi di accoglienza, solidarietà e cura con/per donne migranti.
Le seguenti sezioni tematiche rappresentano lo spunto per sviluppare le proposte che si intendono condividere. Le esperienze che si intendono condividere possono riguardare prassi consolidate e/o riflettere sui punti di crisi delle forme di accoglienza, sul deperimento delle risorse, sulle difficoltà incontrate nel portare avanti pratiche di contrasto alla violenza o di supporto alle donne che hanno subito violazioni.
Sezione tematica 1. Vulnerabilità. Il corpo vulnerabile è anche resistente
Il tema della vulnerabilità è ancora uno degli elementi posti al centro dei protocolli umanitari e
dell’accoglienza dedicati alle condizioni delle donne migranti. Tale presupposto che associa donne
migranti e soggetti vulnerabili rischia di ripetere gli stereotipi che hanno accompagnato la storia
dell’umanitarismo e dell’assistenza. In prima istanza, le donne migranti – coloro che, in questa
logica, sono portatrici di tratti culturali della differenza – sono viste, quasi in senso ontologico,
come vulnerabili; ovvero, soggetti fragili e depotenziati nella loro capacità di azione. In tal senso, le
prassi di accoglienza, le forme di sostegno e di riconoscimento sono pensate e organizzate come
pratiche dirette a rendere queste donne soggetti attivi e capaci di agire, come se le donne migranti
non avessero istanze proprie per pensare al sé, ad un senso di giustizia, a forme di azione e
capacità di riorganizzare la propria esistenza nonostante le situazioni di marginalità e violazione che
vivono o che hanno vissuto. In seconda istanza, soprattutto rispetto alle nuove normative in materia
di migrazione e asilo, la vulnerabilità emerge quasi come una condizione di merito e come l’unica
forma di riconoscimento concessa alle donne migranti: colei che dimostra la sua vulnerabilità avrà
maggiori possibilità di accedere a forme di sostegno e a luoghi, o pratiche, di accoglienza.
Tuttavia, nel dibattito femminista contemporaneo, soprattutto nelle sue declinazioni intersezionali
e postcoloniali, la vulnerabilità è contemplata come una condizione umana (la condizione umana è
attraversata dalla possibilità di subire ferite o di vivere situazioni di violazione) e altresì come lo
spazio da cui pensare l’agency umana, l’azione politica e la costruzione delle alleanze di genere. La
vulnerabilità emerge in tal senso come una situazione di violazione e al contempo come un
concetto politico, anziché essere l’antitesi dell’azione.
Questa sezione interroga i modi attraverso cui possiamo rivedere e ripensare i protocolli sulla
vulnerabilità nel campo delle migrazioni e dell’asilo. Vi sono esperienze (territoriali, esperienziali,
analitiche) in cui la condizione di vulnerabilità non limita il riconoscimento dell’azione o in cui la
risposta data alla vulnerabilità delle donne evita il rischio di risposte di stampo paternalista?
Sezione tematica 2. Memoria della violazione e grammatiche della violenza
La narrazione della violenza è probabilmente uno dei punti principali su cui riflessioni, pratiche
relazionali e di cura dei Centri Antiviolenza si sono concentrate. Tali riflessioni ed esperienze hanno
messo in evidenza come il racconto della violazione sia caratterizzato solo in parte dalla presa di
parola o dalla verbalizzazione dell’accaduto. Il recupero della memoria di violenza e la sua possibile
narrazione è caratterizzata infatti anche da contraddizioni (o apparenti contraddizioni), ritrosie e
reticenze; oblio, silenzio, vergogna, desiderio di dimenticare e/o di raccontare si sovrappongono fra
loro mostrando quanto il racconto della violenza sia qualcosa di ben articolato e complesso di una
verbalizzazione lineare e priva di interruzioni. I timori, il desiderio di dimenticare e la volontà di
ritrarsi dal peso del racconto risultano così essere aspetti costitutivi della narrazione della
violazione e aspetti che spesso affiancano la volontà di articolare la parola, prendere posizione,
costruire una testimonianza privata e pubblica.
Tali questioni – che mostrano quanto siano articolati i processi di costruzione della testimonianza –
pongono questioni importanti rispetto ai modi con cui la memoria può esprimersi e chiedere
giustizia. Nel momento in cui la narrazione della violenza incrocia la migrazione, questi aspetti si
complicano ulteriormente laddove le esperienze di violenza si iscrivono in orizzonti sociali e
culturali differenti rispetto alle tecniche di raccolta della testimonianza dei luoghi di arrivo. La
costruzione della soggettività delle donne migranti può interpellare significati dati al corpo, alla
parola, alle strutture familiari e di parentela, alle relazioni significative meno note ai contesti che si
pensano come spazi di cura e costruzione della testimonianza.
Questa sezione si interroga su tali stratificazioni della memoria e della sua possibile emersione, sui
codici e sui canoni con cui la memoria si è depositata, sulle possibili forme del racconto.
In quanti modi può esprimersi la grammatica della violenza e quali tipi di soggettività
interpella? Quante e quali grammatiche o posture della testimonianza della violazione
abbiamo incontrato o contemplato nelle esperienze di incontro con le donne migranti? Sono
solo la parola in senso stretto e la verbalizzazione della violenza i canali attraverso cui
intercettare la violenza e costruire la testimonianza? E ancora quante cose può dirci la ritrosia
o come si intersecano parola, corpo, desiderio di dimenticare, volontà o esigenza di
raccontare? Quali codici e quali canoni della testimonianza?
Questa sezione intende valorizzare esperienze e riflessioni in cui prendono forma diverse
modalità di racconto della violenza; esperienze e riflessioni che si sono interrogate sulle
posture, sui modi e sulle grammatiche per esprimere la violazione.
Sezione tematica 3. Costruire la testimonianza, aspettativa del racconto
Quando sono le donne migranti a dover testimoniare, stereotipi culturali o etnicizzanti
rischiano ancora di prendere spazio nelle pratiche di accoglienza e nelle prassi di raccolta
della testimonianza. Fra gli aspetti che alcunə operatricə impegnatə nell’asilo o che si trovano
a fronteggiare il nesso fra migrazioni e violenza di genere lamentano il silenzio, la reticenza e
la sottrazione da parte delle migranti nel dar conto degli eventi accaduti e delle violazioni
subite. Sovente, tale aspettativa della parola e del racconto o l’attesa di una postura
adeguata dinanzi alla testimonianza della violazione si appoggia alla convinzione che le
migranti (i soggetti femminili provenienti da contesti culturali non occidentali) pur vivendo
situazioni di evidente fragilità, siano prive di quella libertà di parola e della giusta
consapevolezza che permetterebbe loro di articolare la voce e testimoniare le vicende
accadute.
Questo sguardo sulle altre donne scorre su un solido stereotipo che spesso ritiene
l’emancipazione, l’autodeterminazione, la consapevolezza del sé prerogative del femminismo
occidentale. Fra le conseguenze di tali attitudini vi è il fatto che l’aspettativa della parola e
l’attesa del racconto di violazione si trasformino in forme di paternalismo di genere, poco
capaci di cogliere forme meno note di agency, e si concretizzino in azioni pedagogiche tese a
rendere le donne migranti più consapevoli e libere – come se queste fossero prive di istanze
proprie per rielaborare l’accaduto, trovare forme dell’esposizione e a attivare azione sociale.
Questi stereotipi e questi consolidati modi di agire presuppongono, al contempo, un’immagine del
sé femminile occidentale caratterizzata da una maggiore emancipazione e libertà – come se questo
sé fosse portatore (quasi esclusivo) di una cultura di genere condivisa e sedimentata capace (o più
capace di altri modelli femminili) di liberare una narrazione sul corpo trafitto, sulla sessualità e sulla
sua violazione.
La sezione ambisce ad interrogare gli habitus consolidati delle prassi di accoglienza e di raccolta
della testimonianza che impediscono il consolidarsi di un’attitudine decoloniale e intersezionali
dinanzi alla costruzione della testimonianza. Partendo dai punti di crisi nella raccolta della
testimonianza, la sezione pone al centro esperienze che hanno valorizzato, o che si sono
interrogate, sui molteplici significati dati al corpo, alla soggettività, ai modi di concepire azione e
costruzione del soggetto, alle relazioni.
Tempistiche e modalità di invio delle proposte
Questa call for experiences è rivolta a contributi singoli o lavori in team a carattere teorico, empirico o narrativo. Chiunque sia interessatə a partecipare può inviare il proprio lavoro, nella forma di un long abstract di circa 500 parole, corredato da una breve presentazione dei/delle proponenti, alla seguente email: festivalviolenzaillustrata@casadonne.it, specificando l’asse tematico prioritario a cui si intende partecipare, I contributi vanno inviati entro e non oltre l’1 novembre 2024.
10 novembre: comunicazione degli esiti della selezione.
Per ciascuna sezione tematica, verranno selezionati 3 contributi che saranno presentati durante il Festival La Violenza Illustrata e avranno l’opportunità di arricchire il dibattito su queste tematiche fondamentali.
Anche chi ha presentato proposte non accettate potrà prendere parte al seminario e arricchire il momento di dibattito.