#escapes2020 online – 26 giugno 2020
Il governo della migrazione e dell’asilo
Resistenza e azione in tempi di ambivalenza e incertezze
Stringa n. 4: Trovare e fare accoglienza nell’Europa dei sovranismi
Due passi indietro sulla strada dell’accoglienza e del diritto alla protezione
Emanuela Dal Zotto, Università degli Studi di Pavia
Nell’ultimo decennio in Italia la questione dell’asilo si è affermata come centrale nel discorso pubblico e nelle politiche riguardanti le migrazioni, così come nello stesso periodo il sistema di accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale ha conosciuto importanti trasformazioni.
Il 2011 può essere identificato come il momento di avvio di questo processo. In particolare la definizione di quanti giungevano dalla Libia come richiedenti asilo e l’allestimento di un’accoglienza straordinaria coerente con questa definizione hanno rappresentato un precedente determinante nella configurazione del sistema di accoglienza italiano negli anni successivi, per almeno tre aspetti.
Il primo riguarda appunto la definizione dei migranti. Di fronte alla chiusura di pressoché tutte le possibilità di accesso regolare al territorio italiano, al moltiplicarsi e all’acuirsi delle situazioni di instabilità nei paesi di origine e di transito, sono aumentati notevolmente gli ingressi via mare. In modo particolare durante l’operazione Mare Nostrum (tra il 2013 e il 2014) e almeno fino all’introduzione dell’approccio hotspot nel settembre 2015, tali arrivi sono stati fatti coincidere nella prassi, nella maggior parte dei casi, con quelli di richiedenti asilo1.
Il secondo aspetto riguarda un coinvolgimento senza precedenti di tutto il territorio nazionale nel sistema di accoglienza. Se fino al 2011 questa era prerogativa, soprattutto per la prima assistenza, delle regioni costiere del Sud (Puglia e Sicilia in primis) e delle realtà locali aderenti al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), la distribuzione dei migranti giunti dalla Libia in strutture straordinarie in tutte le regioni e province italiane ha portato diversi contesti locali a confrontarsi per la prima volta con il fenomeno delle migrazioni forzate. L’interessamento di tutte le regioni italiane, così come il ricorso ai Centri di Accoglienza Straordinari, è proseguito oltre la chiusura dell’Emergenza Nord Africa nel 2013.
Il terzo e ultimo aspetto è l’utilizzo della protezione umanitaria, una forma di protezione prevista dall’ordinamento giuridico italiano che non rientra tra quelle di protezione internazionale, ampiamente utilizzata di fronte alla difficoltà di rinvenire i presupposti per il riconoscimento di tale protezione in soggetti che le politiche hanno portato a richiedere, ma i cui percorsi personali sono difficilmente nettamente incasellabili sotto il profilo di rifugiato o migrante economico nell’attuale scenario delle migrazioni internazionali2. La protezione umanitaria, forse utilizzata impropriamente, certamente precaria, ha rappresentato in questi anni per molti ai quali è stata concessa una concreta opportunità per l’avvio o il consolidamento di percorsi di inclusione oltre l’accoglienza.
Nonostante il frame dominante così come le principali misure intraprese, siano state di carattere emergenziale e, in quanto tali, non scevre da ambivalenze e contraddizioni (prima tra tutte quella giocata sul labile confine tra ragioni umanitarie e securitarie), si è arrivati in Italia a uno sviluppo (in termini sia di dimensioni che di competenza) del sistema di accoglienza, in cui hanno trovato spazio la partecipazione della società civile e progetti innovativi finalizzati all’inclusione3. Con il decreto legislativo n. 142 del 2015, è stato fatto poi il tentativo di superare un altro aspetto storicamente di fragilità del sistema di accoglienza italiano: la frammentarietà. Il decreto ha infatti cercato di dargli, per la prima volta dall’inizio degli anni 2000, organicità, ricomprendendo in esso tutti i tipi di struttura attivi sul territorio e distinguendoli sulla base della loro funzione di accoglienza di primo o di secondo livello.
Da un sistema di accoglienza per lo più inadeguato sono stati mossi passi importanti, benché su di un percorso ancora molto lungo, in direzione di un sistema efficace, se gli obiettivi che consideriamo sono la tutela del diritto a chiedere e ricevere protezione e l’inclusione nei contesti di approdo. Da situazioni di criticità sono scaturite energie, sono state apprese lezioni che molti attori italiani dell’accoglienza sono stati in grado di mettere a sistema.
In questo progresso, le modifiche apportate al sistema di accoglienza dal Decreto Ministeriale del 20 novembre del 2018 e dalla Legge n. 132 del 2018, non possono che essere lette come passi indietro. Si tratta di provvedimenti voluti dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, la cui campagna elettorale era stata fortemente connotata da una retorica anti-immigrazione di impronta securitaria.
Il primo investe i bandi per l’affidamento e la gestione dei Centri di Accoglienza Straordinaria, riducendone drasticamente i finanziamenti e i servizi, soprattutto quelli tesi a favorire il riacquisto dell’autonomia da parte dei soggetti coinvolti, come il supporto psicosociale e quello legale e i corsi di lingua. Il secondo, sostituisce la protezione umanitaria con una serie di altri tipi di permesso che non consentono l’accesso al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Quest’ultimo è stato infatti trasformato dalla nuova legge in SIstema di PROtezione per titolari di protezione Internazionale e MInori stranieri non accompagnati (SIPROIMI): una seconda accoglienza destinata unicamente ai titolari di protezione internazionale.
Alla vigilia dell’approvazione della legge Sicurezza e Immigrazione, tra gli attori dell’accoglienza era grande la preoccupazione rispetto al rischio di esclusione che la accompagna.
Preoccupazione innanzitutto per quei richiedenti asilo presenti in accoglienza, che nel tempo (lungo) dell’iter per il riconoscimento della protezione avevano gettato solide basi, relazionali ed economiche (qualcuno un contratto di lavoro a tempo indeterminato), per la propria integrazione e che, con l’abolizione della protezione umanitaria difficilmente avrebbero ottenuto un permesso per la permanenza in Italia.
Secondariamente preoccupazione per il ridimensionamento dell’accoglienza dei richiedenti asilo, limitata ai Centri di Accoglienza Straordinari a loro volta privati dei mezzi necessari all’attuazione di un’accoglienza di qualità e alla replica delle buone prassi messe a punto negli ultimi anni. Difficile, secondo gli operatori realizzare percorsi virtuosi verso l’autonomia, se essi vengono fatti iniziare soltanto dopo il riconoscimento della protezione internazionale. Scenari di esclusione, quindi, in virtù delle sempre minori opportunità di trovare accoglienza e protezione.
A un anno e mezzo dall’emanazione dei due provvedimenti ci sono dati quantitativi che confermano l’impoverimento del sistema di accoglienza italiano (anche se non sono ancora tutti disponibili quelli utili alla costruzione di un quadro completo): l’incremento dei dinieghi tra gli esiti delle domande presentate e l’aumento del numero stimato degli immigrati irregolarmente presenti sul territorio (già conseguenza del Decreto Orlando-Minniti), la diminuzione dei CAS e la scomparsa di quelli più piccoli per cui il Decreto Ministeriale ha reso l’accoglienza economicamente insostenibile, la perdita del proprio lavoro da parte di migliaia operatori qualificati, il minore spazio occupato dall’accoglienza nelle testate giornalistiche, solo per citare i più rilevanti.
A questi dati vanno ora aggiunti quelli che raccontano degli effetti sulle biografie di chi è approdato, di chi ha chiesto e di chi ha e non ha ricevuto protezione in Italia, di chi ha smesso di fare accoglienza e di chi continua a farla in un contesto con sempre più vincoli e meno risorse. Un lavoro necessario al fine di evidenziare come nel 2018 si sia bruscamente interrotto il percorso verso la realizzazione di un sistema di accoglienza virtuoso e un paese capace di rispettare il diritto alla protezione.
Note:
1.Marchetti C., “In alto mare siamo tutti rifugiati”, in Ciabarri L. e Pinelli B. (a cura di), Dopo l’approdo. Un racconto per immagini e parole sui richiedenti asilo in Italia, editpress, Firenze 2015, pp. 165-172.
2. Zetter R., “More Labels, fewer refugees: remaking the refugee label in an era of globalization”, in Journal of Refugees Studies, vol. 20, n. 2, 2007, pp. 172-192.
3. Campomori F., Feraco M., “Integrare i rifugiati dopo i percorsi di accoglienza: tra le lacune della politica e l’emergere di (fragili) pratiche socialmente innovative” in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, vol. 1/2018, pp. 127-157.
Per citare questo articolo:
Dal Zotto, Emanuela. “Due passi indietro sulla strada dell’accoglienza e del diritto alla protezione”, in Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate VI Conferenza nazionale – edizione on line 26 giugno 2020, http://www.escapes.unimi.it/escapes/due-passi-indietro-sulla-strada-dellaccoglienza-e-del-diritto-alla-protezione/, consultato il GG/MM/AAAA
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