Venerdì 9 giugno 2017 ore 16.15 – 17.45
Polo didattico dell’Università di Parma, Strada Pietro Del Prato, 5
Workshop in collaborazione con Rosa Luxemburg Stiftung
5. Successi e fallimenti dei percorsi di integrazione
Lancio in plenaria: Chiara Peri (Centro Astalli Roma)
Facilitatori: Chiara Marchetti (Università di Parma e di Milano), Franziska Schmidt (Borderline Sicilia)
Aula Magna
Abituati come siamo alle emergenze, soprattutto quando sono rese visibili e nominate/normate dalla politica, quasi inevitabilmente siamo attratti da ciò che appare sotto i riflettori, anche quando si tratta di rifugiati.
In questi ultimi tre anni, questo ha riguardato soprattutto gli arrivi via mare con i tragici naufragi e la pervicace quanto insensata “guerra alle migrazioni” intrapresa dall’Europa e subito dopo – in stretta connessione – i destini del sistema d’accoglienza che, messo per la prima volta in modo così consistente alla prova da numeri elevati di “aventi diritto”, sembra non reggere in termini di qualità lo sforzo quantitativo di cui è stato testimone, arrivando ad ospitare (in qualche modo) più di 170mila migranti.
Le ricerche scientifiche sui fallimenti del sistema emergenziale, così come i reportage giornalistici, le indagini delle procure e le denunce degli attivisti e degli enti di tutela, non si sono fatti attendere. Raccontano lo stato di abbandono, l’assenza di diritti, gli abusi e le violenze, il sovraffollamento e la promiscuità dei centri.
Eppure sulla carta, seppur malconcio, il modello dell’accoglienza integrata e diffusa sembra aver vinto, benché risulti sempre più limitato a chi riesce a superare le strette maglie della selezione “in entrata” – diventare “richiedente asilo” dopo aver oltrepassato il mare, i muri, gli hotspot, le liste di paesi sicuri – e “in uscita” – superare positivamente la Commissione e ottenere uno status, ai tempi del Decreto Minniti. A norma di legge lo Sprar dovrebbe diventare “il perno del sistema di accoglienza”, ogni territorio dovrebbe attrezzarsi non solo con progetti di accoglienza rispettosi di precisi standard, ma con servizi territoriali incardinati finalmente nel sistema pubblico di welfare.
Di tutto questo però si parla poco. Il cono d’ombra gettato dall’emergenza oscura gli strenui tentativi di non rendere vuota e obsoleta l’etichetta dell’“accoglienza” integrata, in un momento in cui la prossimità alle comunità locali – punto di vanto dei primi progetti Sprar – oggi può tradursi in porosità con la criminalità e i sistemi di sfruttamento (sessuale e/o economico) da parte dei connazionali e degli stessi italiani; può trasformarsi in esposizione ad atti di discriminazione e razzismo, quando non di violenza diretta, da parte di comunità facilmente chiuse e ostili; può fallire nel momento in cui – abbattuti i muri dei grandi centri e della segregazione – se ne innalzano di nuovi, magari invisibili, ma che impediscono lo sviluppo di reali relazioni interculturali e il consolidamento di percorsi di autonomia e integrazione sicuri e legali.
Attraverso questo workshop proponiamo di discutere e confrontare le esperienze locali e le riflessioni critiche che scaturiscono dai vicoli ciechi in cui si incorre anche se si vogliono evitare gli approcci emergenziali, l’abbandono istituzionale, le risposte standardizzate e massificanti. Non tanto una rassegna di “buone prassi”, quindi, quanto piuttosto lo stimolo a leggere i percorsi di integrazione assumendo e ascoltando anche il punto di vista dei rifugiati, le loro aspirazioni che non sono necessariamente al ribasso (integrazione subalterna) e che non rivendicano per forza la costruzione di “mondi paralleli” attraverso chiusure etniche difensive.
Il tentativo dunque è quello di guardare a quel che succede “dopo l’emergenza”, quando anche chi supera tutti gli ostacoli del riconoscimento formale non trova il più delle volte “percorsi di cittadinanza” ma piuttosto una ricaduta nella marginalità o nella semi-legalità, tanto che oggi le situazioni più preoccupanti sia sul piano abitativo (v. il recente rapporto “Fuoricampo” di Medici Senza Frontiere) che lavorativo (per es. sfruttamento agricolo nelle campagne del nord e del sud Italia) sembrano riguardare in misura massiccia – se non addirittura preponderante – titolari di protezione o comunque migranti che hanno vissuto uno o più anni in condizioni di legalità come richiedenti asilo all’interno di progetti di accoglienza.
Nel workshop si raccoglieranno altresì gli spunti che arrivano da quelle esperienze, embrionali o più consolidate, che sfidano lo schiacciamento dei migranti nelle categorie del bisogno o nell’etichettamento della protezione e li pongono piuttosto sul piano della cittadinanza, presagendo risposte da inventare e sperimentare attraverso tutte le possibili intersezioni con altre categorie di “cittadini” (giovani, precari, persone che hanno perso il lavoro, soggetti vulnerabili allo sfruttamento e al ricatto…).
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