#escapes2021 International Online Conference
Mediterranean Crossings:
Refusal and Resistance in Uncertain Times
University of Milan, 24 – 26 June 2021
I dilemmi dell’umanitarismo tra diritto, politiche e pratiche
Sezione A – Etiche e politiche dell’attivismo
Convenors: Luca Ciabarri (University of Milan), Barbara Pinelli (University of Rome 3)
session 1 – session 2 – Call for papers
Sparare sulla Croce Rossa: politiche e prassi umanitarie al confine nord-orientale di Trieste
Roberta Altin (Università di Trieste)
Nel 1973 a Trieste arrivarono dall’allora Jugoslavia i primi quattro migranti africani che morirono per il freddo e vennero sepolti dagli abitanti della minoranza slovena dell’area italiana transfrontaliera con un forte senso di compassione; negli anni ’90 giunsero i profughi in fuga dalla guerra civile jugoslava ospitati nel reticolo di un’accoglienza diffusa e solidarietà condivisa. Nel 2015/16 la migrazione via terra dall’Est verso l’Europa riprende quota: dopo una prima fase solidale di Welcome Refugees, con la chiusura della rotta balcanica si assiste ad un costante e progressivo respingimento dal punto di vista politico, giuridico e umanitario. Se fino al 2018 lo Stato delegava al terzo settore e al mondo del volontariato buona parte dell’ospitalità e della prima accoglienza, dopo il decreto Sicurezza di Salvini la situazione si irrigidisce con inasprimento dei controlli militari ai confini fino ad arrivare ad una stretta collaborazione italo-slovena durante e dopo il lockdown pandemico che attua un esplicito respingimento dei richiedenti asilo in paesi terzi o area extra UE.
Parallelamente, oltre ad un minor supporto al Terzo Settore locale dedito alla prima e seconda accoglienza, si assiste ad una costante e crescente criminalizzazione della solidarietà. Emblematica la denuncia della Procura nel 2021 per favoreggiamento dell’immigrazione ai volontari dell’associazione Linea d’Ombra che curano nella piazza della stazione centrale di Trieste i piedi massacrati dei migranti in transito dalla rotta balcanica. La figura della samaritana laica che soccorre i piedi dei migranti ‘irregolari’ rimanda ad un’immagine quasi religiosa di solidarietà, tuttavia dal punto di vista politico risulta simbolicamente esplicito che il fatto che la criminalizzazione si accanisce proprio contro chi presta aiuto anonimo alla mobilità dei migranti in transito, non intenzionati a chiedere accoglienza e protezione umanitaria. Se, come afferma Lorena Fornasir dopo la perquisizione, «non operiamo per puro spirito umanitario, ma spinti dalla missione politica di colmare il vuoto lasciato dall’Europa» ciò significa che i processi migratori in area transfrontaliera richiedono un’analisi delle politiche europee, delle pratiche governative di esternalizzazione del confine, dell’organizzazione umanitaria dell’accoglienza e degli spazi interstiziali dove i migranti incontrano la solidarietà di attivisti che operano effettivamente in Linee d’Ombra.
Agier, M. 2020. Lo straniero che viene. Ripensare l’ospitalità, Cortina, Milano.
Fassin, D. 2018. La ragione umanitaria. Una storia morale del presente, Derive e Approdi, Roma
Tazzioli, M. Walters, W.. 2019. Migration, solidarity and the limits of Europe. GlobalDiscourse, 9(1), pp. 175-190
Inclusione sociale delle/dei richiedenti asilo: Forza e ambivalenze delle “buone pratiche” autorganizzate tra autonomia e paternalismo
Omid Firouzi Tabar (Università di Padova)
Una ricerca etnografica svoltasi tra il 2015 ed il 2018 a Padova e Provincia, ha portato a galla numerose criticità legate all’organizzazione dell’accoglienza delle/dei richiedenti asilo, soprattutto in riferimento ai grandi campi di prima accoglienza.
Dentro un quadro di progressiva normalizzazione dell’emergenza, le/i richiedenti asilo si trovano ora esposti a forme di violenta segregazione e marginalizzazione, ora alle prese con la fruizione delle rare risorse “inclusive”, spesso subordinata alla completa osservanza delle linee di condotta e disciplinamento stabilite dalle strutture ospitanti e dalla disponibilità allo svolgimento di lavori bassamente qualificati e sottopagati. In questo contesto paradigma sicuritario e umanitario tendono spesso a intrecciarsi e confondersi, ed il secondo, che mostra con particolare forza la sua intrinseca natura paternalistica e vittimizzante, rischia di permeare in alcuni casi anche gli stessi progetti e le pratiche autorganizzate di supporto e solidarietà dal basso.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a crescenti processi di “fuoriuscita”, volontaria e forzata, dalle strutture “ospitanti”, un andamento accelerato dall’abrogazione della protezione umanitaria e della impossibilità del rinnovo della stessa (Legge 132/2018), provvedimenti che hanno esposto le/i migranti a nuove forme di irregolarizzazione e a dinamiche di invisibilizzazione e stigmatizzazione sociale. Questa progressiva permeabilità delle pareti dell’accoglienza ci pone sempre più l’urgenza di andare oltre allo studio delle dinamiche e relazioni di potere che segnano la vita interna ai campi e di indagare a fondo le relazioni che questi soggetti strutturano con il territorio complessivamente inteso.
A partire da questo proviamo a guardare, attraverso lo studio di 3 casi, al ruolo rappresentato da alcune “buone pratiche” autorganizzate dal basso, cercando di capire come esse si misurino con il rischio, molto concreto, di riprodurre a loro volta forme di supporto e cura impregnate di paternalismo e infantilizzazione – tipici ingredienti del controllo umanitario “de-politicizzante” – e quanto e in che modo riescano invece a mettere al centro l’autonomia delle/dei migranti, soprattutto interfacciandosi adeguatamente con le contro-condotte e resistenze messe in campo dalle/dagli stesse/i.
Tra necessità e critica del sistema: uno sportello giuridico in Francia
Federico De Salvo (Ricercatore indipendente)
Il processo burocratico per ottenere lo status di rifugiato in un paese dell’Europa occidentale è complicato e quasi sempre richiede assistenza per essere completato.
Lo Stato comunemente esternalizza questo ruolo, finanziando alcune associazioni, in maniera limitata e insufficiente. Eppure molte persone si impegnano, spinte da ragioni politiche, religiose o morali, creando e rafforzando associazioni, collettivi o gruppi indipendenti che possano garantire supporto nel processo burocratico finalizzato all’ottenimento della protezione internazionale.
Le associazioni finanziate dallo Stato sono indirettamente controllate dallo Stato attraverso il finanziamento che può essere ridotto o eliminato.
D’altra parte, i gruppi indipendenti incontrano altre problematiche e contraddizioni. I motivi che spingono i volontari sono spesso in contrasto con le politiche migratorie statali, ma l’attività di assistenza è comunque necessaria per far funzionare il sistema criticato, di cui si diventa in qualche modo complici. L’equilibrio ideale tra mantenere una posizione critica e coerente e l’aiuto concreto e immediato viene ricercata portando avanti, parallelamente all’attività meramente assistenziale, azioni politiche. Lo Stato, privo dell’arma del ricatto economico, cerca di ricondurre queste realtà indisciplinate ai propri interessi con altri mezzi, dalle condotte puramente ostative, alla mancata concessione di spazi, a pressioni di tipo poliziesco.
L’attività assistenziale in un settore specifico come quello dell’assistenza legale può essere un laboratorio di politicizzazione ? Le contraddizioni del volontariato, tra complementarietà e critica del sistema, come vengono gestite dai volontari ?
Sulla base della mia esperienza diretta di aver lavorato in uno sportello di assistenza legale e dei colloqui che ho avuto con altri volontari a Parigi nel 2018 e nel 2019, cerco di analizzare ile difficoltà che gli attivisti incontrano nel conciliare scelte etiche e necessità pratiche e come le dinamiche conflittuali con le istituzioni aprano al coinvolgimento diretto dei migranti e a nuove forme di politicizzazione.
Cruise ship to quarantine ship in the border space of the Central Mediterranean Sea. Racialized quarantine practices in the time of COVID-19
Elena Giacomelli (University of Bologna), Sarah Walker (University of Bologna)
The failure of the EU to address the ‘crisis’ of mobility constructed by its own deterrence policies together with the politics of abandonment have led the Mediterranean Sea to become one of the most dangerous borders of the last decades. The crisis response lens was amplified following the COVID-19 pandemic. Migration was framed as ‘the emergency within the emergency’, leading the Italian Government to declare that its ports were not ‘‘safe places’ for people rescued from boats flying a foreign flag to disembark.” Instead migrants are now held in quarantine-ships for their sanitary isolation.
This paper examines the impact of COVID-19 on this European border space and those who seek to cross it. Drawing on the experiences of the first author whilst working as a caseworker for a humanitarian organisation on a cruise ship repurposed as a quarantine-ship for migrants, we take this space as our analytic lens. Devoid of their usual tourist passengers as a result of the pandemic, these cruise ships have been repurposed as sanitary surveillance spaces through which migrants’ bodies are subjected to constant security control. Whilst the idea of “floating hotspots” proposed by the Italian government a few years ago was rejected by the EU for human rights reasons, we show how under the emergency rulings of the pandemic the quarantine ship effectively materialises as a floating part of the EU migration regime. In our analysis, we unravel how the racialised construct of the migrant as vector of disease is reproduced within these former cruise ships. Ships which, we argue, function as a form of Goffman’s (1961) totalitarian institution where bio-political techniques are adopted that act on the body and mind of all on board, both migrants and humanitarian workers.
We historicise our research by drawing on the concept of the Black Mediterranean, which recognises the longevity of racial regimes and the Mediterranean Sea as a site of dehumaning that simultaneously obscures the extents of its violence. In its attention to the ongoingness of racial regimes and their centrality to mobility controls, the paper also contributes to scholarship which evidences how race is (re)produced globally through biopolitical practices.
Correnti mediterranee: politiche e umanitarismo nel Canale di Sicilia
Jasmine Iozzelli (Università di Torino)
A partire dalla ricerca etnografica condotta a bordo di Mediterranea Saving Humans nel 2019 e dalle riflessioni che stanno maturando entro l’attuale percorso dottorale, il contributo propone di mettere in luce l’odierna tensione tra la dimensione umanitaria “anti-politica” e la dimensione politica e militante che attraversa le organizzazioni di Ricerca e Soccorso (SAR) nel Mediterraneo centrale.
Alla luce delle trasformazioni riguardanti la gestione, esternalizzazione e securitarizzazione dei confini europei, risulta interessante evidenziare le narrazioni e le pratiche legate alle operazioni di salvataggio in mare, considerando le ambiguità, i limiti e i vincoli che il concetto di umanitarismo fa emergere nelle sue manifestazioni politiche e pratiche odierne, e richiamando la necessità di indagarne le nuove sagome, intrecciate e spesso sovrapposte alle sue vecchie forme. In particolare, l’intento del contributo è quello di valorizzare l’incontro, gli scontri e le contaminazioni che avvengono nel Mediterraneo centrale tra varie “correnti” (politiche, umanitarie, religiose) che sembrano riconfigurare il rapporto tra ONG, migranti, Stati e società civile e richiedere nuove letture dell’umanitarismo.
Dopo una fase di “non assistenza” e push back, seguita nel 2013 dall’assunzione governativa – securitaria oltre che umanitaria – delle operazioni SAR, a partire dal 2014 l’attività di salvataggio viene completamente demandata alle ONG. In tale contesto, appoggiate dagli Stati, esse rivendicano neutralità politica senza problematizzare le cause e le responsabilità che costruiscono quello spazio mortifero. Nel 2017 si assiste a un ulteriore scarto: in linea con le disposizioni europee, vengono messe in pratica misure che vanno a rafforzare il sistema di pull back e trattenimento, a favore del quale acquistano sempre maggior vigore retoriche e pratiche di criminalizzazione delle ONG – che si ritrovano a essere accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e ad assumere un’inedita postura conflittuale rispetto alle direttive governative.
In questo quadro, l’entrata in campo della ANG (Azione non governativa) Mediterranea Saving Humans sembra apportare alcune novità: a partire dal suo intento primariamente politico e militante, essa si propone di appropriarsi della pratica umanitaria del salvataggio per creare azioni di rottura. Il Mediterraneo, da spazio vuoto e “naturalmente” mortifero, si fa “piazza” di lotta, luogo interstiziale tra i sistemi di governo territoriali, in cui linee multiple di responsabilità e agentività confliggono, si allineano e si contaminano.
Se dalla radicalità e apertura di Mediterranea verso la società civile emergono forme creative di solidarietà e attivismo, parallelamente si assiste anche all’affiorare di forti contraddizioni. Alcune di esse hanno a che fare con le retoriche messe in campo (immagini “pietose”, appelli a una presunta “umanità” condivisa e universale e a una rivendicata “compassione” di matrice cristiana): esse sembrano inserirsi perfettamente entro un quadro “umanitario” che vittimizza e replica le asimmetrie di potere; altre invece riguardano le pratiche: salvare vite in un contesto emergenziale può assumere tratti sensazionalistici e mediatici, prima che realmente conflittuali, e rischia di inserirsi esattamente nello stesso quadro contro cui intenderebbe scontrarsi, supportando il sistema istituzionale di management e nei fatti deresponsabilizzando lo Stato.
L’intento del contributo è quello di indagare tali effervescenti contraddizioni che vanno a foggiare originali articolazioni dell’umanitarismo.
Di sguardi scomodi, voci critiche e disobbedienza civile: criminalizzazione e battaglia legale nel Mediterraneo centrale
Chiara Denaro (Università di Trento), Deanna Dadusc (University of Brighton)
A partire dalla fine del 2014, a fronte della riduzione dell’operatività degli Stati dell’UE nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale, diversi attori della società civile sono entrati in campo con diverse modalità operative e finalità, contribuendo alla sua ri-politicizzazione (Cuttitta, 2018). Tra le principali attività vi erano da un lato il vero e proprio intervento in operazioni di ricerca e soccorso, al fine di colmare quello che era stato definito come “rescue gap” (Amnesty, 2015), evitando ulteriori morti in mare (quote), dall’altro l’osservazione critica del mare e degli spazi di frontiera (critical sea/border watching), l’amplificazione delle voci delle persone in movimento, la documentazione della violenza del regime confinario europeo e delle violazioni da parte di attori governativi (Heller and Pezzani 2013, 2017; Denaro 2015).
A partire da una ri-definizione del concetto di “rescue gap”, che non si esaurisce nell’assenza di mezzi di soccorso nel Mediterraneo Centrale, ma prende forma nelle politiche di esternalizzazione, nella delega di responsabilità di soccorso a paesi non sicuri, nelle politiche di non-assistenza e nella cooperazione tra autorità delle due sponde al fine di facilitare intercettazioni e respingimenti, il presente contributo esplora l’operato delle missioni di soccorso civili nel Mediterraneo quali forme di “solidarietà autonoma” (Dadusc e Mudu, 2020).
In particolare, a partire da un’analisi di alcune decisioni chiave (Cassazione su Caso Rakete, Tribunale di Ragusa su caso Open Arms, Tribunale di Agrigento su caso Mediterranea) nell’ambito della battaglia legale attualmente in corso nell’ambito della c.d. criminalizzazione della solidarietà, il contributo riflette su come alcune forme di disobbedienza civile siano state riconosciute coerenti con il framework legale internazionale in materia di diritto del mare e di diritti umani.
Infine, esso riflette su come sia necessario andare oltre la concettualizzazione di solidarietà in chiave “umanitarista”, per cogliere come l’intento della criminalizzazione sia quello di limitare la presenza di sguardi scomodi e voci disobbedienti, in grado di documentare e denunciare la violenza e le violazioni del regime confinario, nonché come una punizione del rifiuto, da parte della società civile, di cooperare con le autorità in pratiche più ampie di controllo e criminalizzazione di persone migranti.
Diritto di asilo e principi fondamentali: i limiti costituzionali al respingimento
Filippo Scuto (Università degli Studi di Milano)
La relazione si sofferma sui limiti costituzionali al respingimento del cittadino straniero e, in particolare, sui limiti derivanti dalla necessità di garantire effettiva tutela al diritto di asilo e su quelli riconducibili ad alcuni principi fondamentali della Costituzione come il principio di solidarietà e l’apertura internazionalista della Carta fondamentale. La premessa generale da cui prende avvio l’analisi parte dalla consapevolezza che da tempo la politica dei respingimenti sia divenuta uno degli strumenti più utilizzati in Italia e in Europa per contrastare l’immigrazione “irregolare”.
Prendendo le mosse da un inquadramento del tema sul piano costituzionale, l’analisi mette in rilievo la portata dei limiti costituzionali al respingimento anche nell’ottica del superamento di una sovranità statale intesa come limite generalizzato agli ingressi dei cittadini stranieri nel territorio italiano. Verranno, inoltre, richiamati alcuni significativi orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di divieto di refoulement e di espulsioni collettive e si farà riferimento al contesto dell’Unione europea in cui il ricorso generalizzato a politiche di respingimento si ripercuote negativamente sulla tutela dei diritti della persona. Nelle conclusioni si cercherà di mettere in evidenza la necessità di un riallineamento della disciplina dei respingimenti e, più in generale, del diritto di asilo, rispetto ai principi costituzionali.
Rethinking the concept of humanitarianism through SAR NGOs in the central Mediterranean Sea between humanitarianism and political solidarity
Eugenia Blasetti (PhD Student, Sapienza University of Rome)
The emergence of Search and Rescue (SAR) Non-Governmental Organizations (NGOs) in the central Mediterranean since 2014 automatically recalls broader and controversial debates about the engagement of humanitarianism with migration-related issues. Often criticizing humanitarianism as a state-driven affair, a means through which asymmetric relations of power are reasserted and reproduced, scholars have strongly focused on its nature, its limits, and contradictions often highlighting humanitarianism’s a-political character and its depoliticizing and dehumanizing effects (Malkki 1998; Ticktin 2006;). The compassionate repression (Fassin 2011) often enacted by states through humanitarianism, and the strong commitment of the latter to principles of impartiality and neutrality (Del Valle 2016) confined humanitarianism to its moral duty to alleviate human suffering shifting the focus away from any political engagement, fostering an understanding of humanitarianism as a strategic instrument only serving sovereign states’ geopolitical interests.
Nevertheless, the recent emergence of new civil support initiatives by NGOs, charities, human rights organizations, grassroots associations, and independent volunteers throughout Europe (Sinatti 2019) have challenged such monolithic perspective, showing different reconfigurations of humanitarianism, and calling for a less polarised and more nuanced analysis, acknowledging humanitarianism’s diversity and complexity (Sinatti 2019).
Drawing on this debate, and inscribed in a broader doctoral research project, the present contribution proposes theoretical and preliminary reflections on the different reconfigurations of humanitarianism in the central Mediterranean focusing on the intersection between SAR NGOs humanitarian conception of saving lives at sea and their strong political commitment aimed at contesting European migration politics. Investigating the intrinsic relationship between humanitarianism and politics characterizing SAR NGOs’ action in the central Mediterranean, the main question grounding the present analysis is: can humanitarianism be political? Based on academic literature focusing on the repoliticization of migration through civil search and rescue (Cuttitta 2018) and the concept of political solidarity understood as: “a response to a situation of injustice and oppression in which individuals make a conscious commitment to a cause” (Scholz 2008:34) the present analysis attempts to connect reflections about the phenomenon of SAR NGOs in the central Mediterranean to broader debates on humanitarianism. The relevance of such theoretical reflections lies in the possibility they offer to rethink the concept of humanitarianism in broader terms, adding complexity to the debate through the acknowledgment of the different reconfigurations that humanitarianism can assume. Furthermore, the possibility for humanitarianism to be political rather than exclusively morally driven and committed to impartiality and neutrality allows to rethink its role in migration related issues not merely as an instrument of power rather as an instrument supporting migrants’ unruly attempts to challenge border regimes.
Bibliographic references:
Cuttitta, P. (2018). Repoliticization through search and rescue? Humanitarian NGOs and migration management in the central Mediterranean. Geopolitics, 23(3), 632–660.
Del Valle, H. (2016) Search and Rescue in the Mediterranean Sea: negotiating political differences. Refugee Survey Quarterly, 2016, 35, 22–40.
Fassin, D. (2011). Ambivalent hospitality: governing the unwanted. In Fassin D., Humanitarian reason. A moral history of the present. University of California Press: Berkley.
Malkki, L. H. (1996). Speechless emissaries: Refugees, humanitarianism, and dehistoricization. Cultural Anthropology, 11(3), 377–404
Scholz S.J (2008) Political Solidarity. Pennsylvania State University Press.
Sinatti (2019) Humanitarianism as Politics: Civil Support Initiatives for Migrants in Milan’s Hub Social Inclusion, Volume 7, Issue 2, Pages 139–148 DOI: 10.17645/si.v7i2.1968
Ticktin, M. I. (2011). Casualties of care. Immigration and the politics of humanitarianism in France. Berkeley, CA: University of California Press.
Disvelare l’umanità: sessualità, migrazioni forzate e intersezionalità queer1
Romina Amicolo (avvocato, PhD in Filosofia del Diritto, Escapes)
Nella letteratura sulle migrazioni forzate la sessualità ha acquisito un peso crescente negli Stati Uniti soprattutto al culmine della pandemia di AIDS, con specifico riguardo agli immigrati privi di documenti con HIV/AIDS, a cui è stato consentito di avere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il ricorso ai Diritti Umani ha consentito l’inclusione della sessualità come possibile base per acquisire lo status di asilo, appellato «Queer Asylum»2. Il metodo della intersezionalità scongiura il rischio che nei procedimenti giudiziari l’orientamento sessuale sia utilizzato acriticamente, creando l’esportazione delle identità dall’ovest ad altri paesi, intesi come moralmente e culturalmente subordinati3. Così facendo la giurisprudenza interpreta l’asilo queer non semplicemente come protezione dalle persecuzioni dovute alle predilezioni sessuali di singoli individui, ma, più in generale, nel contesto dell’intersezione delle sessualità emarginate con la razza ed il ceto: «in the context of the intersection of marginalized racialized and classed sexualities»4.
La prospettiva queer non solo espande le nozioni di rifugiato ed asilo politico, ampliando il novero della rilevanza giuridica dei fattori che costringono le persone a migrare, ma suggerisce anche che la sessualità non è una realtà statica ed onnicomprensiva, ma si interseca con e attraverso altre pratiche ed identità sociali, economiche e culturali. Non esistendo una realtà sessuata pre-discorsiva dietro alla serie di atti che è il genere, le migrazioni forzate, lungi dall’essere una forza conservatrice, che lascia i corpi e le culture intatte, creano specifici dilemmi e situazioni contraddittorie, che decostruiscono le nozioni statiche di genere e sessualità5. Dalla prima metà degli anni Ottanta fino alla fine degli anni Novanta si è fatta progressivamente strada la tesi della collocazione culturale della sessualità6. Nei fenomeni migratori le ideologie sessuali non occidentali non seguono un processo assimilativo unilineare, ma piuttosto sono coinvolti in sincretici processi che creano politiche, culture e identità sessuali alternative7: la sessualità da riflesso biologico e psicologico universalizzato di corpi statici diviene elemento costitutivo e dinamico di esperienze migratorie interculturali e transnazionali8.
1 Estratto da Genere sessualità e migrazioni forzate nella giurisprudenza italiana Disvelare l’umanità, Europa Edizioni, 2020, pag. 264
2 Martin F. Manalansan IV, Queer Intersections: Sexuality and Gender in Migration Studies, in International Migration Review, Volume 40, Issue 1, February 2006, p. 231
3 Sonia Katyal, Exporting Identity in Yale Journal of Law and Feminism, 2002, volume 14, Issue 1, pp.98–176
4 Juana Rodriguez, Queer Latinidad: Identity, Practices, Discursive Spaces, 2003, New York, New York University Press
5 Martin F. Manalansan IV, Queer Intersections: Sexuality and Gender in Migration Studies, in International Migration Review, Volume 40, Issue 1, February 2006, p. 243
6 Kath Weston, Long Slow Burn: Sexuality and Social Science. New York, Routledge, 1998, pp. 168-173
7 Eithne Luibhéid, Queering Migration and Citizenship, in Eithne Luibhéid and Lionel Cantù, Queer Migrations: Sexuality, U.S. Citizenship and Border Crossings, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2005, pp. IX–XLVI
8 Martin F. Manalansan IV, Queer Intersections: Sexuality and Gender in Migration Studies, in International Migration Review, Volume 40, Issue 1, February 2006, p. 230
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