#escapes2020 online – 26 giugno 2020
Il governo della migrazione e dell’asilo
Resistenza e azione in tempi di ambivalenza e incertezze
Stringa n. 3: Guardare alle “zone d’ombra”
Libertà differenziate: tre punti di vista per riflettere sul confinamento dei migranti nella transizione Covid-19 / 4
La normalità del trattenimento nella transizione Covid-19
Carlo Caprioglio, Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Roma Tre, Francesco Ferri, Lucia Gennari
A inizio lockdown, negli 8 Centri per il rimpatrio (Cpr) attivi in Italia, erano trattenute circa 650 persone. Per oltre due settimane il Governo si è limitato a dare disposizioni vaghe sulla necessità di adottare misure di sicurezza all’interno dei centri di accoglienza e in quelli di detenzione. Solo il 26 marzo, una circolare, il Ministero dell’Interno ha dato disposizioni specifiche sulla gestione dei Cpr nella pandemia. In controtendenza rispetto ad altri Paesi europei, che hanno disposto la liberazione delle persone o la revisione dei trattenimenti, il Ministero ha confermato a pieno il funzionamento del sistema Cpr. Non è stata adottata alcuna limitazione delle procedure di espulsione e trattenimento, né sono state previste misure adeguate per prevenire il contagio. Anzi, con l’occasione, la circolare ha esteso a tutti i Cpr il divieto – prima vigente di fatto solo in alcune strutture – di utilizzo dei telefoni cellulari da parte delle persone recluse. In una situazione in cui chiunque di noi ha sperimentato quanto sia importante poter comunicare con l’esterno, mantenere relazioni affettive e conoscere cosa accade al di fuori (delle nostre case!), non è difficile comprendere come tale decisione abbia esasperato l’isolamento dei migranti trattenuti e la percezione di una misura essenzialmente punitiva, priva di alcuna giustificabilità razionale per chi ne fa esperienza.
Le ricerche etnografiche già da tempo hanno rivelato come l’esperienza del Cpr sia – per chi ha conosciuto entrambe – ben peggiore di quella del carcere1. Nel contesto del lockdown, considerazioni di questo genere trovano riscontro tra le righe delle motivazioni con cui il Tribunale di Roma ha in più occasioni rigettato le richieste di convalida del trattenimento dei richiedenti asilo nel Cpr di Ponte Galeria. Secondo le giudici di Roma, infatti, la permanenza dentro una struttura come il Cpr non assicura il rispetto minimo delle norme di distanziamento fisico, mettendo a rischio la salute delle persone trattenute. Inoltre, l’interruzione dei collegamenti aerei con l’Italia fa venir meno la ragionevole prospettiva di rimpatrio dei trattenuti e, così, la funzione stessa del trattenimento come definita dalla normativa europea. Si tratta di un argomento di incontestabile linearità che non vale tanto per i richiedenti asilo – in quanto tali, inespellibili – quanto invece per i migranti c.d. irregolari, che formano la maggior parte della popolazione trattenuta.
Alla data del 24 aprile, il Garante dei detenuti indicava in 259 le persone migranti in stato di trattenimento e in 32 i nuovi ingressi disposti da inizio lockdown. Al 30 maggio, nei 6 Cpr rimasti attivi a seguito della chiusura di altri due Cpr per lavori di ristrutturazione, erano ancora trattenute 178 migranti. Nonostante il trend decrescente, il Garante riscontra carenze strutturali in tutti i centri, e «condizioni materiali che rendono impossibile l’osservanza di quelle misure di distanziamento sociale e di quella diminuzione di densità di presenze in luoghi comunque non ampi, richiesta dalle norme igieniche rivolte all’intera popolazione»2.
L’inadeguatezza nel garantire la tutela della salute delle persone trattenute è emersa materialmente a Gradisca d’Isonzo dove si sono concentrati tutti e cinque i casi confermati di Covid all’interno di un Cpr (ma è probabile che siano stati molti di più). Il confinamento pandemico ha significato quindi per molte persone migranti una maggior esposizione al contagio. Come sottolineato dal Tribunale di Roma, infatti, è la condizione materiale di costrizione all’interno di strutture che non consentono il distanziamento fisico a mettere a rischio la salute, violando i diritti costituzionali delle persone recluse; e ciò, a prescindere dalle ragioni che giustificano la misura. Una constatazione che potrebbe essere estesa a una molteplicità di altre situazioni in cui la libertà dei migranti è confinata, informalmente, per assenza di politiche pubbliche3, oppure formalmente, per ordine dell’autorità. Rispetto a quest’ultimo caso, si pensi proprio agli hotspot e ai “traghetti-lazzaretto” – in fin dei conti non tanto dissimili dalla nave dei vecchi di Trieste – su cui si concentrano gli altri due contributi.
La circostanza che il trattenimento non sia stato messo in discussione neppure durante la pandemia, in cui invece sono state adottate misure – certamente insufficienti – per decongestionare gli istituti penitenziari, ci dice molto sulla natura della detenzione amministrativa e sulla posizione che occupa nell’ordinamento giuridico italiano. La pandemia ha rivelato come non ci sia più nulla – o forse non c’è mai stato4 – di eccezionale nei Cpr, come essi non configurino una eccezione permanente inscritta nei meccanismi ben rodati dello stato di diritto, né tantomeno una “zona di anomia”, come da molti a lungo sostenuto. Nell’emergenza, il trattenimento si è mostrato in tutta la sua ordinarietà – che non significa legittimità -, comodamente inserito negli equilibri dell’ordinamento giuridico. Non a caso, l’unica garanzia rimasta ferma durante il lockdown è stata la possibilità di svolgere i colloqui con gli avvocati, mentre invece sono stati interrotti gli ingressi degli enti anti-tratta e delle organizzazioni convenzionate. Con ciò non si intende certo sminuire il rapporto decisivo tra trattenuto e avvocato di fiducia, quanto invece evidenziare il nesso che intercorre tra una garanzia tipica dell’apparato del c.d. “giusto processo” e la legittimazione del trattenimento. D’altro canto, alla garanzia formale delle tutele processuali per i trattenuti – su cui ci sarebbe molto da dire anche in tempi normali5 – ha fatto da contrappunto proprio la mancata interruzione delle udienze di convalida e proroga: ovvero, la salvaguardia dell’intero sistema espulsivo durante la pandemia, in cui il trattenimento gioca un ruolo centrale.
Mentre prendono forma queste note, il progressivo ritorno a una qualche forma di normalità acuisce il disagio per la familiarità con cui si parla oggi della limitazione della libertà personale sine crimen delle persone migranti. Mentre riaprono le attività economiche, la mobilità all’interno del territorio nazionale non incontra più limitazioni, e ci si approssima a tornare a circolare liberamente nello spazio Schengen, centinaia di persone continuano a sperimentare la normalità del trattenimento. Di fronte a queste contraddizioni, alcune domande sorgono spontanee: quante persone hanno trascorso l’intero periodo di lockdown – o buona parte di esso – rinchiuse dentro un Cpr? Che esperienza è stata la pandemia vissuta tra le mura di un centro di detenzione? Quali strascichi lascerà questa situazione sul funzionamento dei Cpr in Italia? Domande rispetto alle quali è evidentemente presto per provare a dare risposte e sui cui forse ci impegneremo nei prossimi mesi. La sensazione che però resta, oggi, mentre ci affacciamo alla c.d. fase 3 della transizione Covid-19, è quella di un’occasione persa per contestare radicalmente l’esistenza dei Cpr e di un sistema che, nelle parole gravi ma assolutorie della Corte Costituzionale, mortifica la dignità di chi lo attraversa.
Note:
1. Ne parla per esempio Giuseppe Campesi nella ricerca condotta nel Cpr di Bari Palese nell’ambito delle attività di ricerca dell’“Osservatorio sulla detenzione amministrativa degli immigrati e l’accoglienza dei richiedenti asilo in Puglia”. Il riferimento è a G. Campesi, Bari Palese. Etnografia di un centro di identificazione ed espulsione, in AA.VV., Passaggi di frontiera, Pisa, Pacini, 2014, pp. 19-20.
2. Il Garante Nazionale nei giorni dell’emergenza Covid-19, p. 2, disponibile a http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/covid19.page?frame4_item=1.
3. Si pensi per esempio alle tendopoli e agli insediamenti informali in cui vivono i braccianti agricoli da Nord a Sud dell’Italia.
4. In una delle rare monografie in lingua italiana dedicata alla detenzione amministrativa dei migranti, Giuseppe Campesi definisce il trattenimento come «un mezzo di assoluta banalità amministrativa» da ricondurre genealogicamente alle «ordinarie misure di bassa polizia». G. Campesi, La detenzione amministrativa degli stranieri. Storia, diritto, politica, Roma, Carocci, 2013, p. 66.
5. Se interessa, qualcosa in più abbiamo provato a dire qui, F. Asta, C. Caprioglio, Per giusta decisione. Riflessioni sul controllo giurisdizionale del trattenimento degli stranieri, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2, 2017, pp. 553-572.
Per citare questo articolo:
Caprioglio, Carlo, Ferri, Francesco, Gennari, Lucia. “Libertà differenziate: tre punti di vista per riflettere sul confinamento dei migranti nella transizione Covid-19. La normalità del trattenimento nella transizione Covid-19”, in Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate VI Conferenza nazionale – edizione on line 26 giugno 2020, https://escapes.unimi.it/normalita-trattenimento-transizione-covid, consultato il GG/MM/AAAA
Questo testo è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia
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